A “storie minime”, va nuovamente in onda la favoletta dell’asessuale perbene
A Storie Minime trasmissione di Rai3 è andato, lo scorso 7 ottobre, in onda un servizio che parlava di asessualità.
Non mi aspettavo chissà che qualità in un servizio di Mamma Rai, dopo avere già visto una trasmissione televisiva di Rai2 (per non parlare della celebre puntata di Al posto del cuore1) che era riuscita nell’intento di fare disinformazione, chiedere domande imbarazzanti e porre le persone asessuali come “roba strana”, tipo fenomeni da baraccone nel giro di 10 minuti. Ma quello andato in onda, fa cadere le braccia.
La storia narrata è quella di un ragazzo, che in un college in Nebraska aveva conosciuto una ragazza, Emily, alla quale aveva chiesto di uscire, ma lei disse di no perché aveva i suoi “Emily’s problems“.
Cosa saranno mai, si chiede l’ascoltatore, gli Emily’s problems2?
Appurato che Emily non volesse con quella frase intendere di avere il ciclo quel giorno né di essere incinta di uno spacciatore appena rilasciato da un acrcere di massima sicurezza, si viene a sapere che “una sera (pausa) nel dormitorio (pausa) lei ha trovato il coraggio di dirgli (pausa più lunga, inquadratura larga, si leva gli occhiali) che era asessuale”.
Cazzo. Era meglio lo spacciatore. Sicuramente era meglio il ciclo.
E adesso?
Cosa è una asessuale? È contagiosa? Si può curare?
No, ci viene detto, una asessuale è una persona che “non ha stimoli sessuali, non ha libido praticamente”. Questa è una cazzata (una persona asessuale non ha attrazione sessuale, è diverso), ma viene data da una persona “terza” che può non sapere la terminologia esatta.
Chi ha fatto l’intervista avrebbe dovuto informarsi ma “sì la cosa è interessante, “mi piacerebbe approfondirla”, ma come si sa c’è sempre poco tempo. In fondo sono soldi dei contribuenti: bisogna sputtanarli con una certa parsimonia.
Va bene che sono storie “minime”, ma che premio Oscar è servito dietro a una telecamera per dare una narrazione3 così di merda?
E non perché ci siano chissà quali inesattezze (a parte la definizione), è che si continua a presentarci come personcine innocue, pucciose, che non fanno sesso ma che vorrebbero essere “normali”. Inoltre, per la stampa italiana, siamo tutt* cis-eteroromantici. Tutt*.
Soprattutto, le persone asessuali sono sempre viste come persone sole: non vengono mai citati i luoghi e le realtà di associazione e di confronto. (Per inciso: non me ne frega un cazzo che venga nominata questa associazione o questo blog, ma si dica che certe realtà esistono).
Ma i giornalisti lo possono dire che ormai buona parte delle associazioni Lgbtqia4 si occupa di asessualità, compresa Arcigay? Anche in Italia.
Quasi ogni volta che ho risposto ad un’intervista, qualsiasi narrazione5 che potesse esulare da quella della coppia cis-etero, è stata cassata.
Un anno fa, con la stessa Rai, dovemmo rifiutare un’intervista perché la persona proposta era una persona non binaria. “Vogliamo -ci venne detto- una donna che sembri una donna”. Ciao.
La “concorrenza”, invece, ci chiese “una coppia formata da un uomo e una donna”.
Ela Przybylo6, ha riportato nel suo ultimo libro che il 30% delle persone asessuali non è cisgender.
Un nostro sondaggio, sicuramente di minor valore, ma che può rendere l’idea, riduce le persone asessuali cis-etero a circa il 20% del totale.
Ridurre la narrazione7 delle persone asessuali a questo, narra di un pezzetto della comunità. Tra l’altro, guarda caso, il meno “impegnativo”.
Vogliamo parlare di amatonormativity? Di aromanticismo? Scala mobile relazionale? Di attività sessuale obbligatoria? Di come le persone asessuali, per loro natura rivedano il concetto di famiglia? Vogliamo estendere il discorso alle non monogamie? Alle identità di genere? Parlare di diritti e attivismo?
È come se “Storie minime” avesse deciso di fare un servizio sul disagio in una qualsiasi città italiana, ma fossero andati soltanto nei quartieri bene. Chi vede il servizio pensa: “cosa hanno tanto da arrabbiarsi, in fondo, poveri non ce ne sono in quella città”.
Non ci vuole molto a capire che, allora, è meglio raccontare di Emily8, del Nebraska e degli eterni cuori solitari che aspettano soltanto di potere essere considerati “normali”.
Alla faccia di tutti coloro, che “normali” non vogliono proprio esserlo ed avrebbero “storie” un po’ più interessanti da raccontare.
Note
1 Programma andato in onda nell’agosto del 2018 sulle radio di Mamma Rai e rimasto un punto fermo in Italia e all’estero per spiegare l’acephobia
2 Per uno come me, che non ha studiato in un college in Nebraska, ma in un istituto tecnico di Rifredi, Emily aveva “un chilo e mezzo di cazzi suoi”.
3 Chiedo scusa per il termine.
4 Dove a sta per “asessuali”, giusto per dire…
5 Ho usato il termine “narrazione” di nuovo? Chiedo veramente scusa.
6 Docente e scrittrice canadese, di probabili origini polacche, il cui cognome la rende impossibile da citare per farsi belli.
7 Oddio… ho usato “narrazione” tre volte!!! Aiuto, mi sto trasformando in un radicalscicconlatticoaniuiorc. Aaaaah!
8 Emily, è pure il nome della “fiamma” di Todd Chavez che purtroppo (per lui) etero e con una certa attrazione per i pompieri.