Quanto è “culturalmente inclusiva” la comunità asessuale?

Secondo un articolo riportato da medium.com, anche nella comunità asessuale (in questo caso, in quella americana nda), si verificherebbe una sorta di “supremazia culturale” in qualche modo, anche se inconsapevolmpente “imposta” dalla sua componente “bianca”.

Il dibattito sull’inclusività della comunità Lgbtqia, va avanti, per quanto timidamente, già da un po’ di tempo.

Questa è la prima volta che viene tirata in ballo anche la sola “lettera A” dell’acronimo.

Secondo l’articolo, un sondaggio fatto nel 2014 da Aven, riporta che, su 10.000 persone che si definivano asessuali, il 77.3% si identificava come “bianco” di origine europea, il 5,2% come di origine centro e sudamericana, il 3,9 come “asiatico” o provenienti dalle isole del Pacifico, e solo il 2,5% si definiva “afroamericano”. Il resto non ha risposto alla domanda, si definisce come persona di origine “mista”, o di altra etnia.

Secondo una stima della popolazione del 2015, basata sui censimenti effettuati, le persone di origine europea sono il 62%, quelle di origine centro e sudamericana sono il 17%, il 5% è di origine asiatica e le persone di origine africana sono ben il 12,5%.

Dato che sappiamo che “si nasce” con il proprio orientamento, verrebbe da chiedersi perché tutte quelle persone asessuali di origine diversa da quella europea, rifiutino o ritengano non opportuno, o non necessario avvicinarsi alla comunità.

 

L’articolo dà la seguente spiegazione: il termine asessuale è praticamente impossibile trovarlo in giro, se non sulla Rete. Gli spazi in rete, dove si parla di asessualità, come ad esempio Aven, sono stati creati all’alba di Internet, tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000, quando la Rete era a stragrande maggioranza “bianca” e molto “esclusiva”.

Ed una volta, prosegue l’articolo, che i “bianchi” hanno “preso possesso” di certe comunità, le hanno fatte diventare autoreplicanti, mettendo a disposizione termini e istanze che interessavano a quella parte di popolazione.

Passando da questa parte dell’Atlantico, e provando a sostituire una di quelle etnie con il termine “nuovi cittadini1” ed un altro, sia mai, con il termine “richiedenti asilo”, non si ottiene un risultato migliore, e l’inclusività delle persone non “etnicamente locali2”, trova poco o pochissimo posto all’interno dell’intera comunità Lgbtqia, che porta avanti gli stessi vizi nello stesso modo.

Questo avviene anche in quei Paesi che sono noti per la loro apertura sia nei confronti delle comunità straniere, sia nei confronti della comunità Lgbqtia. È, ad esempio, notizia di questi giorni la brutta avventura di una coppia di ragazze lesbiche richiedenti asilo in un centro nei pressi di Anversa, minacciate dalle loro “compagne” nel centro per il fatto di essere lesbiche e senza alcun tipo di sostegno da parte delle autorità.

Durante lo scorso Bologna Pride, un membro dell’associazione “Il Grande Colibrì” ha dovuto subire una pesante contestazione quando ha iniziato a parlare dal palco. La sua colpa? Essere siriano. In pochi, ma abbastanza per farsi notare, hanno cominciato a gridare frasi come “vattene”, “prima gli italiani”, “torna a casa tua” e roba di questo tipo.

Il tutto è avvenuto ad un pride. Come se non bastasse, a quel pride, molti portavano la maglietta rossa, in solidarietà con i migranti.

 

Forse è proprio l’ambiente dei movimenti per i diritti civili a dover finire sotto accusa, da questo punto di vista, non c’entra niente il fatto che Aven sia stata creata quando buona parte del mondo, non sapeva neanche cosa fosse Internet. E sono comunque passati quasi 20 anni.

Sembra quasi che, per la maggior parte degli attivisti, non si possa finire in più di una “scatoletta”, quindi o sei un richiedente asilo, o sei una persona Lgbtqia, o sei una donna, eccetera.

È anche un mondo rimasto decisamente indietro, forse proprio ai tempi citati dall’articolo, assolutamente USA-centrico e rivolto praticamente ad una frazione della popolazione, che ancora considera la comunità “migrante” come si considerava negli anni ‘90 (poche persone, che vivevano di fatto in un mondo a sé e con decisamente altre cose alle quali pensare). Ed una volta che l’iniziativa culturale veniva lanciata dagli Usa, stava agli “altri” (europei occidentali e poco più) cercare di “adattarsi”.

Il mondo è cambiato, e deve cambiare anche il modo nel quale vengono rivendicati i diritti.

 

Dopo i pride, abbiamo fatto un video con le foto dei gruppi asex di vari pride fatti in giro per il mondo. Tra quelle fatte nel cosiddetto “Occidente”, quante persone “non bianche” si riescono a contare?

Ci sono, in Italia, circa 8 milioni di “nuovi italiani”, tra migranti e loro figli. Come fare a raggiungere le persone asessuali (e, in generale, le persone Lgbtqia) tra di loro? Quali mezzi dovremmo usare? Con quali termini? Attraverso quali tematiche?

Quali spinte culturali, ed invalidanti per il proprio orientamento, provano queste persone oltre a quelle che abbiamo subito, e che subiamo noi, perché la ragazzina di origine magrebina che abbia un orientamento asessuale, ad esempio, oltre a dover subire le spinte della propria cultura di origine, subirà anche quelle che subiscono le proprie compagne di classe “italiane”.

Le associazioni, i pride, i vari gruppi e collettivi, sono pronti ad avere un leader con un retroterra culturale non esclusivamente italiano, che sia lì non come rappresentante di questi gruppi, ma come attivista Lgbtqia a pieno titolo?

Poter riconoscersi nel proprio orientamento sessuale, e poter rivendicare, con orgoglio, la propria appartenenza, è un diritto che persone, prima di noi, hanno conquistato, e che abbiamo il dovere di portare avanti.

Ma un diritto, se è riservato a pochi, diventa un privilegio.

 

 

1 Vale a dire le persone immigrate e anche quei ragazzi nati in Italia da genitori immigrati, che per calcoli elettorali dei quali un giorno ci vergogneremo, non possono sentirsi al 100% italiani, nonostante siano nati in Italia, abbiano studiato in Italia, vivano da sempre in Italia, paghino le tasse in Italia ed abbiano visto il Paese di origine (dei genitori) una volta sola, su un qualche canale di Sky.

2 Non è “l’apoteosi del “politicamente corretto”, rompipalle che non siete altro, è che non so proprio come poter, in qualche modo, differenziare una persona nata in Italia da genitori italiani, ed una nata, ad esempio, da genitori nati nei Balcani o nell’ex Urss. Entrambe si possono definire “bianche”, ma, dal punto di vista sociale, soprattutto per quello che riguarda queste tematiche, la differenza è evidente.

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