“Da’ voce al rispetto” ci spiega cosa è l’afobia. Mettendola in pratica.

Le pagine social della campagna di Gaynet “Da’ Voce al Rispetto” hanno pubblicato un post piuttosto stizzito contro l’iniziativa (alla quale carrodibuoi.it, per quello che può contare, non ha partecipato) di alcune realtà Instagram di area asessuale/aromantica che hanno fatto pressione in vario modo affinché venisse “inclusa l’afobia nel ddl Zan”.

La difesa di Da’ Voce al Rispetto è stata quella che ci aveva dato a suo tempo Arcigay, cioè che la legge copre, in realtà, tutte le discriminazioni, e che possa essere applicata, per analogia a tutte le discriminazioni per orientamento sessuale o per identità di genere.

Avevamo già fatto notare che questa linea non ci soddisfaceva: il grosso dubbio non stava nella modalità della punizione del reato, ma nella sua prevenzione. 

La richiesta che facemmo era di includere “o verso nessun sesso o genere” nella definizione di orientamento sessuale all’articolo 1, modificato dopo l’emendamento Annibali.

Il problema non sta tanto nel fatto che qualsiasi giudice possa punire un comportamento afobico soltanto per analogia. Il problema è se il giudice in questione sia, o meno, a conoscenza di cosa possa essere questa “afobia” se questa non viene definita da nessuna parte. 

Chiunque non abbia vissuto con la testa nella sabbia ha imparato, in questi ultimi 25 anni cosa sia l’omofobia e che discriminare una persona perché ha (per esempio) una relazione con un’altra dello stesso sesso è sbagliato. 

Al massimo, può essere d’accordo, ma è consapevole che c’è una discriminazione.

Ma la domanda è: una persona che sta compiendo un atto di afobia, cioè di discriminazione contro le persone asessuali e/o aromantiche, sa che questa cosa si chiama afobia?

Per questo è importante che quel “o verso nessun sesso o genere” venga incluso nella definizione di orientamento sessuale.

Ma anche che venga effettuata una preparazione specifica nei confronti dei bisogni e delle particolarità della comunità asessuale.

L’afobia non è la sorella dell’omofobia: non è la stessa cosa con un aggettivo diverso. Ci sono casistiche che non sono previste negli altri casi di discriminazione, e che devono essere prese in esame se si vuole dare la stessa dignità e lo stesso diritto di esistere alle persone asessuali.

Il medico che prescrive una cura psichiatrica ad un adolescente perché “non va dietro al sesso come lɜ altrɜ” sa che sta discriminando una persona? 

Come vanno affrontate le cosiddette microaggressioni (spesso non così “micro”) che avvengono all’interno della coppia quando una delle due persone è asessuale? Dove è, qui, l’analogia con le altre discriminazioni?

Quando, nei lavori di fiction, viene vista la persona asessuale come “lo sfigato”, “quella di legno” ed è quasi sempre una persona ridicola o disperata, si è a conoscenza di utilizzare un linguaggio non diverso a quello che le commedie con Lino Banfi e Alvaro Vitali usavano nei confronti delle persone omosessuali?

Quando, in un comunicato di un gruppo che sostiene il ddl Zan, si parla di non volere includere “una delle tante altre declinazioni dell’orientamento sessuale” per evitare “di farne un elenco che rischia sempre di tralasciare qualcosa”, si è al corrente di avere dato una dimostrazione pratica di cosa sia l’afobia?

L’afobia è (anche, e spesso) questo mettere i bisogni delle persone asessuali (e anche degli orientamenti che non siano L e G) in fondo e “se c’è tempo”, vedere le proprie individualità sempre mischiate tra gli “altri”, vedere la voglia di una parte, più grande di quanto non si creda, del mondo Lgbtqia, di non “perdere tempo” con “tutte queste sigle”.

Abbiamo sempre sostenuto, e continueremo a farlo, che non esista una comunità asessuale slegata dal mondo Lgbtqia+, in quanto una comunità del genere non solo è inutile ed autoreferenziale, ma esclude le intersezionalità e rischia pericolosamente di scivolare verso le posizioni sessuofobe e conservatrici.

Ma dovremmo chiederci se possa esistere un mondo “arcobaleno” che continua ad escludere, o a considerare poco più che ospiti (come fatto da “Da’ Voce al Rispetto”), quegli orientamenti “non conformi”, le intersezionalità, la presenza di un mondo giovanile ben più “fluido” e quindi complicato di quello di soli 10 anni fa. E se questo non bastasse, il mondo Lg(btqia), continua ad essere, ogni giorno di più, un “club per sole persone bianche”, escludendo, in larga parte, le esperienze e le ragioni delle persone non cis-etero-monogame migranti o che appartengono alle seconde ed alle terze generazioni delle persone immigrate nel nostro paese, se non riducendole ad una banale “integrazione” nella cultura esistente, fatta ancora passare per “progresso” e “liberazione”.

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