Caro Giovanni Dall’Orto (o quello che ne è rimasto)

Carissimo Giovanni Dall’Orto, ho un certo timore nel rivolgermi così direttamente a lei, vera e propria istituzione, all’interno della comunità (e qui le faccio un dispetto, se permette) LGBTQIA.

Io sono un attivista e blogger, appartenente all’orientamento sessuale che lei ha definito “la lettera più divertente di tutte”, cioè la A di asessuali.

Non sono più un ragazzino, e quindi le posso assicurare che il poter affermare la mia identità di asessuale mi sia costato diverse nottate insonni.

Ma andiamo con ordine.

Innanzitutto, vorrei dire, agli eventuali lettori di questo scalcinato e quasi ridicolo blog chi sia Giovanni Dall’Orto.

Per dirla breve, è uno dei decani dell’attivismo gay (va meglio stavolta?) dal 1976, è stato direttore di diverse testate di area, (tra le quali il celebre mensile “Pride”) ed ha scritto diversi libri sull’omosessualità già negli anni ‘80, quando il tema era sicuramente più difficile da affrontare di adesso.

Sempre negli anni ‘80 si è occupato di quello che fu il dramma dell’AIDS, ed ha pubblicato un libro che parlava di coming out nel 1985, di genitori di omosessuali nel 1991 e di coppie dello stesso sesso nel 1994, secoli prima, cioè, che il World Pride del 2000 sdoganasse l’omosessualità nei salotti degli italiani perbene.

 

Gentilissimo Dall’Orto, mi è capitata tra le mani una sua intervista dello scorso 17 novembre, rilasciata ad Arcigay Catania, dal titolo “Tractatus Logicus-Queerophobicus”.

Tralascio le sue idee su quello che lei chiama queer, perché esulano dall’argomento principale di questo sciagurato ed infimo blog, ma posso ammettere, in modo del tutto personale, che lei tenda a stirare il concetto di “queer”, fino a coprire tutto ciò che non le piace. Non è il solo, Berlusconi lo ha fatto per anni con i “comunisti”.

Nell’intervista, parlando dell’allargamento della sigla LGBT (che lei considera l’ultima sensata), dichiara:

Dopodiché, una volta diventati il «bidone della spazzatura» di qualunque sessualità non fosse rigidamente cattolica, i queer hanno potuto tirarci dentro di tutto: dagli intersessuali (che non hanno problematiche legate né all’orientamento sessuale né all’identità di genere, ma semmai una diversa struttura fisica dei caratteri sessuali), i queer ovviamente, i questioning (quelli che non hanno ancora capito cosa sono…), i pansessuali, fino alla lettera più divertente di tutte, la A di asessuali, che sono le persone che non provano interesse per i rapporti sessuali, con chicchessia”.

L’argomento del gatto che cammina sulla tastiera, usato per escluderci, non è nuovo, purtroppo. Non è lei il solo a pensare che il nostro orientamento non sia un orientamento, purtroppo, e che, anzi, sarebbe più conveniente, in questi tempi bui, utilizzare la A per indicare gli alleati eterosessuali.

Non ero mai stato chiamato divertente.

Non credevo che l’affermazione delle nostre vite, segnate dalla negazione di un’identità potesse far sorridere qualcuno, forse un qualche sadico ultracattolico che ci punisce per non aver creato famiglia e figli come da comandamenti.

Inoltre, non ero mai stato paragonato alla spazzatura.

Addirittura, io sarei la spazzatura della comunità, per limitarmi alla parte “sensata”, LGBT?

Non è una bella frase, se ne rende conto, vero?

Ma lei, caro Dall’Orto, rincara la dose nei nostri confronti: “Chiedere che un movimento di liberazione sessuale si faccia carico delle richieste di coloro che non provano alcun interesse per la liberazione sessuale, è come chiedere a un circolo enologico di ammettere i Fratelli Mussulmani fra i soci. Qui lo scopo non è chiaramente allargare i diritti delle persone asessuali, che possiedono già il diritto a non fare sesso (anzi, in una società sessuofobica come la nostra, l’astensione dal sesso è “santa”), qui si vuole svuotare di senso il movimento lgbt”.

 

Stimatissimo signor Dall’Orto, forse, lei, non ha minimamente l’idea del perché io, leggendo la sua intervista, mi stia incazzando come un gorilla al quale abbiano inavvertitamente schiacciato le palle con uno stivale chiodato.

Le chiedo scusa per il linguaggio, e le chiedo scusa, già che ci sono, anche per averla chiamata, non molto tempo fa, sulla sua pagina Facebook “militante queer”. Non lo faccio più, lo giuro.

Umilmente, la prego di notare che Facebook è un luogo intasato di tutto, ed ho sbagliato a leggere.

D’altronde, sono un divertente asessuale, e, come dico spesso, ho fatto l’ITI. Quindi da me, non si può chiedere molto.

Ma da lei, sì.

Dove io mi inalbero (notare la finezza) come il gorilla di cui sopra, non è tanto per le parole e le immagini che associa a quello che è il mio orientamento, e che ritengo debba essere rispettabile, ma è che una persona come lei, con il passato che ha dietro le spalle, semplicemente, metta dei termini così, in un modo tanto casuale da potersi definire a cazzo, tanto per riempire una pagina.

Intanto, gli asessuali (e qualche santo deve aver voluto che lei non ci chiamasse asessuati, che avrebbe portato ad una spaventosa tombola), non sono “le persone che non provano interesse per i rapporti sessuali, con chicchessia”, ma l’asessualità è la mancanza di attrazione sessuale verso tutti i generi.

Ma una persona come lei, non si informa? O pensa il fatto di avere scritto tre libri trent’anni fa, la renda informato di default?

Cosa le dice che gli asessuali “non abbiano interesse” per la liberazione sessuale?

Noi asessuali siamo i primi ad aver bisogno di una nuova liberazione sessuale. Siamo i primi a volere una sessualità che non sia per forza effetto, quando non proprio causa di un rapporto affettivo.

Anziché pontificare, poteva chiedercelo.

Ma d’altronde, cosa possiamo mai saperne noi, della nostra vita?

Cosa c’entrano i Fratelli Musulmani (con una s sola, se ne parla quasi ogni giorno su tutti i i giornali dal 2001, almeno su questo è aggiornato?) ad un convegno di etilisti? I Fratelli Musulmani non vogliono bere il vino. Caso mai, noi saremo gente che non ha sete.

Non ci voleva molto, a dir la verità, per arrivare a questo paragone.

Per il resto, poi, avrei voluto farle vivere la mia adolescenza, per farle vedere quanto sia stata santa l’astinenza. Capisco che anche la sua di adolescenza non sia stata delle più facili. Non è una gara, comunque.

Resta il fatto che io nella sua adolescenza, mi sono identificato prima come militante radicale, poi, con l’avviarsi del dibattito sulle coppie omosessuali, come sostenitore dei diritti di queste ultime.

Il tutto prima che si aprisse la pattumiera per farmi entrare come asessuale.

 

Non è ammissibile che una persona come lei, con la sua storia, parli in questi termini di chiunque.

Lei sta annullando la sua stessa storia, sta deprimendo le battaglie che ha combattuto in gioventù, girando come un feticcio, sproloquiando contro la teoria queer, giusto per essere una voce fuori dal coro, e solo in quanto tale riesce ad ottenere attenzione, non tanto per il peso delle sue parole, che è inesistente.

Nei confronti della comunità asessuale, lei ha usato termini errati, paragoni inesistenti.

Ha usato un linguaggio che non si addice ad un coraggioso diciotenne che nel 1976 fece coming out quando buona parte del Paese neanche sapeva cosa volesse dire.

Questi paragoni me li aspetto da uno dei tanti cretini che bazzicano Facebook e che ci dicono scopate che vi passa. Non da lei.

Che lei si sia, ormai, ridotto a spararla grossa per non finire nell’oblio, lo si capisce quando dice che noi (che saremmo identitaristi) vorremmo liberarci non nella società, ma dalla società.

Uno degli obiettivi della comunità asessuale, è, invece quello di essere riconosciuti nella società, non quello di vivere in cima ad un albero, guarda un po’.

Lei sa cosa sia la medicalizzazione delle persone asessuali? Sa quanti di noi continuano a venire curati con gli psicofarmaci?

Sa quanti psicologi da strapazzo spingono gli asessuali ad avere rapporti comunque per poi “fartelo piacere”, perché è normale così?

Sa cosa sia l’isolamento di una persona asessuale che non riesce a raggiungere altri membri della propria comunità? Sa cosa significhi sentirsi dire di non esistere?

Non ne dovrebbe avere la più pallida idea, visto che ci ha paragonato ad una divertente spazzatura, e invece, lo sa di cosa sto parlando, e lo sa bene: 40 anni fa, questi metodi, li usavano verso quelli come lei.

Se non vuole informarsi, almeno, usi la memoria.

 

Secondo quello che lei afferma, per me ogni uomo è un’isola, e subiamo l’oppressione creata da un mostro che noi chiamiamo società, perché l’inferno sono gli altri. Mi scusi, forse non ho capito molto di questa camionata di citazioni, nelle quali mancano, si noti, “le parole sono importanti, “libertà è partecipazione” e “Miwa, lanciami i componenti.

Giovanni Dall’Orto
Giovanni Dall’Orto.
La foto più recente sul suo sito, è del 2006.

A proposito, la frase, poi, secondo la quale, la categoria alla quale apparterrei “ragiona ideologicamente in termini di soli individui. La società è il Male, e ciò che è sociale è cattivo, il socialismo poi è il Male Assoluto”, credo che appartenga alla stessa era geologica di Miwa, e lei, credo che la pronunciò la prima volta a Radio Alice. Mi sbaglio? Perché suona un po’ vintage.

Quindi, per lei, il proliferare delle sigle è dovuto alla “diffusione sempre più ampia dell’identitarianesmo, inteso nel senso che la parola ha negli Usa (identity politics), non in quello che ha in Italia. Da noi infatti gli «identitari» sono di destra e sono per le identità forti, che devono essere poche, rigide e onnicomprensive, mentre invece in America, dove è nata la manfrina, l’identitarianesimo va di moda a sinistra, ed è favorevole all’esatto opposto, ossia all’implosione delle «identità forti» e alla proliferazione del massimo numero possibile di identità deboli”.

Qui, proprio, lei ha sbagliato tutto quello che c’era da sbagliare.

Le identità chiuse, che sono poche, rigide e omni-comprensive (e che lei linka, amorevolmente a generazione identitaria, tanto per ricorrere ad una troppo nota tecnica di diffamazione), sono quelle che porta avanti lei (le solite da 30 anni, ma sorvoliamo) e quelle “femministe” di Arcilesbica, che, quest’estate, in tempo di Pride (uno dei pochi momenti nei quali le identità queer, secondo lei straripanti ottengono un minimo di visibilità) si sono prese la ribalta farneticando sulle donne trans, venendo riportate come il Vangelo dai peggiori omofobi di questo Paese.

Siete voi che vi siete chiusi in definizioni preistoriche solo per continuare ad esistere, voi escludete qualsiasi cosa non vi somigli, voi respingete qualsiasi tentativo di apertura.

 

I gruppi che lei definisce spazzatura, sono l’esatto contrario.

Ci sono persone asessuali trans, persone trans pansessuali, pansessuali aromantici, ed aromantici asessuali.

Siamo persone che si identificano in tre-quattro tipi di identità diverse.

Noi siamo un tessuto di diverse identità ed esperienze, di contaminazioni che sono inscindibili tra di loro, proprio perché legate l’una all’altra dalle esperienze personali di ognuno.

Noi siamo la storia non di un coming out, ma di tre o quattro diversi.

Lei è l’identità settaria, un’identità sempre più debole.

Ormai lei è un vecchio arnese, un orologio guasto che dà sempre e solo la stessa ora (e che, solo per questo, un paio di volte al giorno ci becca ancora).

Lei non solo, non sa cosa noi siamo e rappresentiamo, ma temo che, ormai, non le interessi neanche più. Ormai le serve solo un oggetto sul quale sfogare la sua bile, per poter continuare a sopravvivere.

Ciò che mi consola, è che le vostre posizioni, se ne vanno col tempo, come la frutta che è stata appetitosa, ma che ora è marcia.

Ed è roba del genere, che va buttata, subito, nella spazzatura.

Prima che marcisca anche ciò che c’era di buono attorno.

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