“A” sta per “alleato”?

In un articolo uscito negli scorsi giorni, Al Farmer ed Andy Cramer, hanno sostenuto l’idea di usare la sigla LGBTQA per riconoscere la “comunità non eterosessuale”, che, nella sua unità ha ottenuto diverse vittorie, dopo la pandemia di AIDS dei primi anni ‘80.

Per i due, pur riconoscendo l’esistenza di intersessuali ed asessuali, la lettera “A” dovrebbe riconoscere il lavoro degli alleati eterosessuali.

In settimana, sempre negli Stati Uniti, una catena di palestre ha suscitato polemiche per aver usato il medesimo acronimo in un video pubblicitario fatto in occasione del mese dei Pride.

L’articolo di Farmer e Cramer sarebbe un incidente di percorso di due giornalisti, se non fosse che i due sono da decenni sulle barricate per i diritti della comunità LGBTQIA, e la testata dove hanno scritto l’articolo, è The Advocate, storica ed autorevole testata gay californiana, che quest’anno ha compiuto i 50 anni.

Secondo i due, considerando la situazione non ottima delle politiche USA contro la comunità LGBTQIA (ma di gran lunga migliore della maggior parte del mondo n.d.A) può portare ad una maggiore massa critica per affrontare il periodo non prolifico.

Danno sollievo, almeno, le reazioni che hanno suscitato sulla pagina del giornale, dove molti utenti hanno ben specificato l’appartenenza di asessuali ed intersessuali all’acronimo.

Per alcuni, infatti, la presenza di una lettera nell’acronimo, per quanto possa sembrare una cosa superficiale, dà ai membri di quella lettera, il diritto di sentirsi parte della comunità intera e di agire a suo nome. Una sola menzione nell’articolo, evidentemente, non dà questo diritto di cittadinanza.

Questi due incidenti, arrivano a meno di un mese dall’articolo di Sara Beth Brooks che si chiedeva quale fosse il posto degli asessuali nella comunità LGBTQIA.

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