Afobia: cominciamo a riconoscerla?

Si chiama afobia (talvolta chiamata, in inglese acephobia) è la discriminazione contro le persone asessuali e/o aromantiche.

Sono sicuro che il 99% delle persone che si dicono così, diranno di non avere mai subito un episodio di discriminazione afobica. Anzi, spesso, neanche erano a conoscenza di questo termine.

E molte, si chiedono anche se serva o meno un termine che serve ad indicare una cosa dalla quale non sono mai state colpite.

Eppure, ne abbiamo avuto esempi attorno a noi praticamente da sempre. Non c’è bisogno di una banda di teppisti che ti riempia di botte sotto casa, perché si parli di discriminazione.

L’afobia è quando il tuo coming out viene invalidato con “anche io faccio pochissimo sesso”.

Oppure quando vedi la narrativa che raffigura una persona senza attrazione sessuale come “lo sfigato” o “la frigida”, “l’imbranato” o “quella che non ci sta”.

È afobia al momento in cui si deve “dimostrare” di essere veramente persone asessuali.

Quando gli amici insistono per farti conoscere un’altra persona single, è afobia.

Se vuoi far valere le tue ragioni, a casa o sul lavoro, e ti viene detto “scopa, così ti calmi”, è afobia.

Quando il grado di stabilità della coppia di misura con il numero di rapporti sessuali, quella è afobia.

Quando il tuo orientamento viene invalidato con “stai aspettando la persona giusta”, è afobia.

Se qualche professionista nel campo della medicina o della psicologia cerca una “causa” alla tua asessualità o, peggio, ne cerca una cura, quella è afobia.

Quando viene detto che le persone asessuali non subiscono discriminazioni, quella, per assurdo, è la peggiore forma di discriminazione afobica.

Se sul lavoro ti vengono assegnati i lavori ed i turni più scomodi perché “non hai famiglia”, quella potrebbe non essere direttamente afobia, ma ci va parecchio vicina.

Quando viene detto che le persone asessuali non hanno diritto di rivendicare la loro posizione all’interno dei pride, e dei gruppi Lgbt+, è afobia. Se questa esclusione avviene dall’interno del mondo Lgbt+, è peggio.

Quando sei in una relazione, e subisci pressioni affinché tu abbia dei rapporti sessuali contro la tua volontà, oltre ad essere ad un passo dallo stupro, è anche afobia.

Quando una persona asessuale viene definita “malata”, quella è afobia, ma in questo caso è facile riconoscerla.

A questo, non siamo stati abituati a dare un nome: il commento acido della collega di ufficio, la battuta “machista” nello spogliatoio in palestra, il venire additati perennemente come bambini immaturi che non vogliono crescere, li abbiamo considerati, fino ad adesso, soltanto come episodi di maleducazione e cattivo gusto.

Forse, è il momento di dargli un nome.

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