La violenza omofoba nell’Europa dell’est ci riguarda

Sabato scorso si è svolto, o, meglio, dalle notizie (poche e in russo) che sto riuscendo a raccogliere, si sarebbe dovuto svolgere il pride a San Pietroburgo.

Il gruppo composto da circa 50 persone, stava manifestando con dei cartelli, e la polizia russa, con le modalità che sono ormai abbastanza note, ha immediatamente messo la parola fine allo spettacolo disgustoso di persone che chiedevano semplicemente di esistere.

Ovviamente, non deve essere costato molti sforzi reprimere immediatamente questo grave attacco alla società russa ed ai suoi sacri valori, a giudicare che, dalle foto, c’è circa un poliziotto per manifestante.

Almeno quindici di loro sono stati arrestati, tenuti su un furgone della polizia. Sono stati picchiati, e non è stata data loro neanche l’acqua per bere, cosa che è avvenuta solo all’arrivo di uno dei pochi deputati statali di opposizione, Boris Vishnevsky, attivo fin dagli anni ‘90 nella difesa dei diritti umani.

Tre attivisti sono stati portati in ospedale in seguito a quanto accaduto.

Elena Grigorieva
Elena Grigorieva

“In Russia cinque milioni di persone vivono nascoste a causa dell’ignoranza”. Essersi fatta fotografare con un cartello del genere in una manifestazione, tenuta lo scorso aprile sempre a San Pietroburgo e finita, puntualmente, all’interno di un furgone della polizia, invece, è molto più semplicemente costato la vita a Elena Grigorieva, attivista Lgbtqia russa.

Il suo nome era finito nel database di “Saw”, un elenco di persone, con foto, recapiti e tutto, considerate “indesiderabili” in Russia (attivisti Lgbtqia in primis), che è quindi una vera “caccia al gay” su scala nazionale, dove i cui creatori possono vantarsi di avere “cacciatori” eccellenti, come il campione di kickboxing Viacheslav Datsik.

Diciamo dire che “Saw” sia terrorismo di Stato? Probabilmente, no. Ma possiamo dire con tutta tranquillità che lo stesso Stato, contro questo tipo di terrorismo, faccia ben poco. Sarebbe bastata la solerzia con la quale hanno represso il pride a San Pietroburgo per salvare la vita di Elena Grigorieva.

In Ucraina, come abbiamo riportato, si è cercato di coprire mesi di violenze omofobiche e di mancati interventi della polizia con la solita terribile farsa del pride di Kiev, che dovrebbe mostrare al mondo quanto sia “democratica” l’Ucraina.

Gli adesivi omofobi in omaggio con Gazeta Polska
Gli adesivi omofobi in omaggio con Gazeta Polska

Spostiamoci di poco. All’interno della “sicura casa europea”, in Polonia.

Lo scorso 27 luglio si stava svolgendo il pride di Bialystok. I manifestanti sono stati aggrediti da gruppi di destra, sono stati lanciati contro di loro dei sacchetti pieni di merda (attenzione: era stato fatto lo stesso anche a Kiev, potrebbe trattarsi di una pratica diffusa che potremmo trovarci in casa la prossima estate…).

Si tratterebbe di un (purtroppo) “abituale” episodio di omofobia, se non fosse inserito all’interno di una campagna omofoba lanciata dal partito di Governo in Polonia, Prawo i Sprawiedliwość (Diritto e Giustizia; PiS), guidato da Jarosław Kaczyński, che sta basando la propria campagna elettorale per le prossime elezioni generali su una guerra alle persone Lgbtqia, come ha fatto per le scorse elezioni europee.

Le scorse settimane, un periodico molto vicino al partito di Governo (per non dire che è roba loro) ha dato, come “simpatico” omaggio ai propri lettori un adesivo arcobaleno con una croce sopra. Recitava “zona libera da Lgbt”. Anche molti sindaci si sono affrettati a proclamare le aree da loro amministrate come “libere da Lgbt”.

A leggere ciò che viene pubblicato (con qualche eccezione) dai gruppi Lgbtqia italiani, sembra che questo non stia accadendo a pochi passi da noi. Le notizie vengono riportate, quando vengono riportate, quasi per forza, come se non ci riguardasse, come se chi governa (e governerà) questo Paese, non avesse questi modelli come obiettivi, neanche troppo velati.

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