Arcigay Milano: Per un movimento intersezionale, una lettera aperta a chi ne ha timore

Il CIG Arcigay Milano ha inviato questa risposta alla famosa intervista di Giovanni Dall’Orto ad Arcigay Catania

 

‘Intersezionalità’, ‘queer’ e ‘gender’ sono solo alcune delle parole più in uso nelle discussioni degli ultimi anni, sia di persona che sui social media. Spesso e volentieri vengono rivisitate in una sorta di accezione anacronistica negativa, tra appropriazioni improprie, spauracchi e timori, che rivestono chiunque ne faccia uso di una conseguente aurea intrisa di rapporti binari tra oppresso e oppressore.

Perché se è vero che questi termini, così come in realtà altri affini, trasportino con sé solamente un’aura positiva e accademica che è sempre esistita ma che solo (relativamente) recentemente ha trovato spazio nell’opinione pubblica, non possiamo ignorare il fatto che siano anche fonte di denigrazioni, dileggio e veri e propri atti di attacco da parte di una certa fetta di popolazione, inclusi alcuni esponenti della comunità LGBTQIA.

 

Essendo il CIG Arcigay Milano un luogo in cui ci si ritrova spesso a disquisire di tematiche relative al femminismo, ai queer studies e più in generale a tutto quello che ruota attorno a ogni lettera dell’acronimo LGBTQIA, le parole in questione trovano inevitabilmente ampio spazio tra le mura della sede, tra eventi divulgativi e non. Per questo, non appena l’intervista a Giovanni Dall’Orto è stata pubblicata sulla pagina di Arcigay Catania, ne abbiamo discusso i contenuti.

 

Tolta la competenza di una precisa temporalità del movimento LG italiano, (e qui volutamente fermiamo la sigla alle lettere riguardanti l’omosessualità e alla specifica di movimento italiano, perché

1. le persone bisessuali non sono state esattamente bene accolte in suddetto movimento ai suoi albori e sono sempre state rilegate ingiustamente dietro a stereotipi e pregiudizi

2. che “all’avvicinarsi del Duemila il mondo lgb ha scoperto l’esistenza di persone transessuali che non erano omosessuali,” non è esattamente corretto, (Stonewall docet)

 

l’intervista presenta criticità e inesattezze figlie di una staticità storica di cui è importante parlare, soprattutto con chi viene interpellato come lo storico del movimento LGBT italiano.

 

Fra le numero inesattezze possiamo per esempio riportare: 

1. gli asessuali non sono persone che non provano interesse per i rapporti sessuali, ma persone che non provano attrazione sessuale e che possono comunque per loro scelta e con il loro pieno consenso fare sesso. Ci preme molto che la differenza fra interesse per qualcosa e attrazione sia ben chiara: d’altronde altrimenti si potrebbe dire che i gay abbiano solo una preferenza sessuale e non un orientamento no? Non facendo distinzione fra interesse e attrazione, due caratteristiche linguisticamente e scientificamente ben separate e demarcate, allora daremmo il fianco ai Giovanardi e gli Adinolfi della situazione.

2. gli asessuali, così come le altre identità, si battono da sempre per il movimento di liberazione sessuale e ci auguriamo che il significato originale di tale movimento venga rispettato: che ognuno possa fare quello che vuole con la piena libertà e rispetto, senza imposizioni e che la propria identità venga rispettata. D’altronde ci viene da chiedere…se si passa da un’imposizione cis-etero ad un’altra imposizione di “sesso sempre e comunque”, dove sta il consenso? Dove si colloca il rispetto degli individui se da un’imposizione se ne crea un’altra?

3. Dall’Orto inoltre dice: “le persone intersessuali e asessuali sono in gran maggioranza eterosessuali”. Lo invitiamo a leggere meglio i dati che esistono a riguardo: parlando delle persone asessuali ovviamente non sono eterosessuali visto che una contraddizione in termini, sarebbe come dire che una persona omosessuale può essere etero. Riguardo le persone intersessuali, molte si identificano con generi non-binari e quindi sfuggono al concetto di eterosessualità.

 

Prima di iniziare qualsiasi tipo di appunto, è doveroso precisare che il diritto all’autodeterminazione, come anche sottolineato dalla dichiarazione d’intenti di Arcigay, è parte fondante di una società paritaria e libera da qualsiasi tipo di oppressione.

Per questo, quando ci si affaccia al termine “queer”, che proprio nell’intervista traspare come il più temuto, è importante tenere a mente che nessuno lo stia imponendo a qualcun altro, bensì che tale (possibile) definizione sia semplicemente un’altra da aggiungere a quelle che definiscono una data persona.
Riappropriato nella sua definizione nel Ventesimo secolo, passando quindi da epiteto a motivo d’orgoglio, l’aggettivo queer viene principalmente, ma non esclusivamente, usato (non imposto) da alcuni per indicare il proprio orientamento sessuale come non eterosessuale, o la propria identità di genere come non cisgender. Chi si autodetermina come queer può quindi essere pansessuale, bisessuale, ma anche genderqueer o genderfluid, e sceglie di utilizzare proprio queer anziché le altre definizioni principalmente per motivazioni politiche o sociali.

Qualsiasi sia la ragione dietro a questa scelta, è importante sottolineare la connotazione culturale e linguistica (anglofona) che riveste il termine queer, nonché l’assoluta mancanza di una guerra in atto contro chi, invece, preferisce definirsi come lesbica o transessuale: queer è semplicemente una definizione in più di un qualcosa che è sempre esistito, giunta a noi in Italia grazie ai mezzi di comunicazione e ai trattati accademici e testi di narrativa di studiosi come Judith Butler, Jack Halberstam e Maggie Nelson (che invitiamo tutti a leggere per superare qualsiasi tipo di staticità storica), e come tale va percepita.

Più che un’omologazione, quindi, queer è un segno di inclusività intersezionale, perché aggiunge senza togliere, e ci porta alla seconda criticità dell’intervista: la denigrazione dell’inclusività stessa.

LGBTQIA+. Lesbiche, Gay, Bisessuali, Trans*, Queer, Intersex e Asessuali. La sigla di una delle comunità più discriminate di sempre si è allargata negli ultimi 10 anni, arrivando a includere un temibile “+”, che indica quanto lo spazio sia ancora aperto. Anziché elogiare l’apertura della comunità stessa al riconoscimento “nero su bianco” di realtà sempre esistite (giusto per fare un esempio veloce, l’esistenza delle persone con identità di genere non binarie è sempre stata riconosciuta da diverse società, come i nativi americani, e delle persone asessuali già ne parlava Magnus Hirschfeld, pioniere tedesco del movimento di liberazione sessuale), l’intervista si fa forte di un sistema denigratorio tipico del binarismo “privilegiato” e “oppresso” che trova le sue radici in quello stesso sistema che poneva chiunque si definisse eterosessuale e cisgender in una posizione di superiorità verso chi, invece, presentava identità di genere e/o orientamenti sessuali diversi poco meno di cinquant’anni fa.

Rinnegare l’omosessualità o la transessualità come rispettivamente orientamento sessuale e identità di genere validi era (purtroppo è ancora) uno degli sport preferiti dell’Italia del Ventesimo, Diciannovesimo, ecc., secolo, poiché si trattava di una società notoriamente fautrice di un sistema piramidale di potere che vedeva (e vede) lo stereotipo dell’uomo bianco cisgender ed eterosessuale in cima alla piramide stessa, pronto all’oppressione di chiunque fosse riposto in uno scalino inferiore. Di questo dannoso sistema sono state vittime non solo la nostra comunità, ma anche le donne, le persone di diversa etnia e religione, e anche gli uomini stessi.

Quello che abbiamo notato leggendo l’intervista non è solo una lunga lista di inesattezze ed errori sui temi trattati, per i quali vi rimandiamo alla breve bibliografia in coda, ma soprattutto un tono di dileggio e di scherno verso altre minoranze: non è forse questo adottare lo stesso meccanismo a cui sono state sottoposte per anni le persone omosessuali? Perché parlare di oppressione e voglia di libertà solo per se stessi e non riconoscere che ci sono altre persone interessate da quella che per noi è un’unica lotta?

CIG Arcigay Milano

 

– Judith Butler “Questione di genere Il femminismo e la sovversione dell’identità” ed. Laterza
– P. Bacchetta L. Fantone “Femminismi queer postcoloniali” ed. Ombre Corte 
– Maggie Nelson, “Gli Argonauti” Il Saggiatore
– J. Halberstam, “Female Masculinity,” “The Queer art of Failure” e “Gaga Feminism”
– David J. Getsy, “Queer” ed. Documents of Contemporary Art
– Susan Stryker, “Transgender History,” ed. Seal Studies
– “Asexuality, the X in a Sexual World”, Huffington Post
– Julia Decker, “The Invisible Orientation”
– Daniela Crocetti, “L’Invisibile Intersex”, ed. ETS
– Jeffrey Eugenides “Middlesex” ed. Mondadori

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