Una persona “strana” per un posto di lavoro?

Secondo quanto emerge da un articolo pubblicato su Internazionale, circa il 20% dei giovani italiani tra i 15 e i 29 non studiano né hanno un lavoro.

Sono decisamente troppi, circa il doppio della media dell’UE.

Il tasso di disoccupazione giovanile è preoccupante: nel 2016 toccava il 37,8% e piazzava l’Italia al terzo posto in Europa dopo la Grecia (47,3%) e la Spagna (44,4%).

Chi riesce a trovare un lavoro, poi, in più del 15 per cento dei casi ha contratti atipici, mentre chi ha meno di trent’anni guadagna in media il 60 per cento in meno di chi ne ha più di sessanta.

Modalità di ingresso sul lavoro dei giovani
Modalità di ingresso sul lavoro dei giovani in Italia

Un elemento che l’articolo fa risaltare e che è semplicemente disarmante, è il modo nel quale quella parte fortunata di giovani italiani che entra nel mondo del lavoro, riesce ad entrarci.

Per il 38%, questa fortuna, la si deve a contatti personali, come amici, parenti e conoscenti.

Solo il 6% trova lavoro attraverso i centri per l’impiego.

Siamo, quindi, alla peggiore Italia, quella da macchietta, dove tu puoi essere un giovane di tutte le belle speranze che vuoi, ma sarà papà (siamo nell’Italia paesana, vorrai mica che mamma sia in grado di raccomandarti?) a segnalarti all’amico, ed a dire che sei un bravo ragazzo, “magari con poca voglia di lavorare”, al che l’amico ribatterà, dandosi di gomito “eh, ma ci penso io, non preoccuparti”.

Ma come fa, paparino a presentarti al suo amico del cuore se tu sei, ad esempio, apertamente omosessuale? O se sei una persona non binaria?

Chi chiederebbe all’amico di inserire in un posto di lavoro, del quale, spesso, l’amico è il proprietario, una persona che è imbarazzante in famiglia?

E quella figlia che di sposarsi e di avere i bambini non ne vuol sapere, chi la fa assumere, con tutto che è una donna e che quindi ha anche il doppio delle difficoltà sul lavoro?

Togliere l’accesso al lavoro dalla cultura della raccomandazione, oltre che a cancellare una vergogna italiana, serve anche a questo.

Una persona, di solito, passa un terzo della propria giornata a lavorare. È perfettamente inutile modificare il linguaggio, i termini e i comportamenti, dove molti di coloro che potrebbero venire aiutati da questi cambiamenti, devono nascondere la loro identità per un terzo della propria giornata.

Che poi diventa tutta la giornata se, come capita spesso, si vive in piccoli centri.

L’accesso al lavoro dà indipendenza economica. Che, a propria volta, dà l’indipendenza sociale su tutto il resto.

Essere strani non deve essere una cosa da ricchi, un privilegio riservato a pochi professionisti che vivono nelle grandi città, ma un diritto da rivendicare ad ogni latitudine.

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