Ne avete di finocchi a Senza Linea?

Caro Carlo Ditto, ho appena letto il tuo articolo sull’asessualità che hai pubblicato su Senza Linea.

Da asessuale, mi ha fatto incazzare.

Ma non perché parli male di noi, o perché ci siano scritte delle inesattezza nei nostri confronti. Abbiamo letto una quantità tale di puttanate a mezzo stampa in questi anni, che una più o meno non fa poi tutta quella differenza.

L’articolo inizia subito male: “asessuali gay o etero”. Cristo, ma è proprio così difficile venire nei nostri siti e nei nostri gruppi sui social per vedere quelli che sono i sotto orientamenti dell’asessualità. Un pezzo in materia è uscito da pochissimo, su Io Sono Minoranza. Bastava Google, un po’ più di rispetto e qualche luogo comune in meno…

Mi fa pena che a fare certi discorsi sia una persona, in qualche modo attivista, all’interno della comunità LGBTQIA, o che almeno si spaccia per tale.

Mi fa pena che nei commenti alla pagina Facebook tu ti giustifiche dicendo che questa è la tua opinione. Come qualcuno ti ha fatto gentilmente notare, anche Mario Adinolfi dice la sua opinione quando ti ribalta un camion di merda addosso.

Mi fa pena questo discorso: “Cosa vogliono ottenete? Il matrimonio “rato e non consumato” dalla chiesa? Il diritto di sposarsi e ovviamente, non aver figli? Che cambia per loro? A livello sociale chi li tocca? In cosa ci perdono?”

Il diritto di sposarsi ed, ovviamente, non avere figli… dove l’ho già sentita? Ah, sì, tanti anni fa, quando si parlava di te, quando ad essere messo alla berlina eri tu, la tua sessualità e la tua affettività.

Poi, aumenti la dose “Perché non resta nella sfera privata?”. Che suona un po’ come “facciano quello che vogliono basta che lo facciano a casa loro”.

Ma hai perso la memoria? O la memoria, tu, non ce l’hai mai avuta?

Non mi sembri un ragazzino: te le ricordi le “spalle al muro” e i colpi di gomito degli altri maschi ogni volta che passavi? Te le ricordi le battute sui locali gay? Te la ricordi quella scena di Scuola di Polizia che ti avrà distrutto l’adolescenza? Il tuo tono nei miei confronti è proprio così diverso? Qual è il nostro “peccato”? Essere arrivati dopo?

Tu non capisci cosa cambia per me fare o no coming out (che, comunque, è un temine che non mi piace usare) esattamente come mio padre non capiva per quale ragione tu dovessi “ostentare” la tua “malattia” nei Pride.

Quello che, poi, mi fa veramente incazzare, è questo: “I gruppi crescono e si creano le associazioni che si appoggiano, anzi usano, al movimento gay già in vista e riconosciuto, partecipano ai pride con i loro striscioni, la A dell’ acronimo l.g.b.t.a. sta per asessuali, vogliono equipararsi. Ma perché?” (Ti sei scordato la “i” degli intersessuali. Quelli sono quasi più “dimenticati” di noi).

Capisci che accusarmi di voler “usare” quello che tu chiami, con un termine un po’ fuori moda, “il movimento gay” è offensivo? Vorresti dire che io sono un parassita?

Ma poi, usare cosa? Ma vivi in una bolla? Ti rendi conto di cosa sta per succedere? Dell’aria che tira? Ci stai accusando di voler appropriarci del diritto di venire pestati insieme a te. Oppure, per avere questo privilegio, dobbiamo essere anche qualcos’altro? Asessuali e non binari? Asessuali ma omoromantici?

Siete rimasti in pochi a volerci escludere, ma, ogni tanto, in diverse parti del mondo, la questione torna a galla.

Carlo, io ho potuto fare coming out a 37 anni, perché prima, di asessualità non se ne parlava. Ho partecipato la prima volta ad un Pride dietro uno striscione asex a 41, perché prima, non c’eravamo.

Non sai quanto io abbia invidiato quei ragazzi e quelle ragazze che a 16 anni potevano già ritrovarsi nei gruppi e nei locali.

Oggi, mi sto dando da fare non tanto per me, ma perché un sedicenne asessuale sappia dove trovarsi.

Quando avevo 16 anni, era il 1990. Frequentavo i radicali, ed essendo gli unici che portavano avanti le istanze di quella che oggi si chiama comunità LGBTQIA (ti eri scordato anche i queer), venivano chiamati radiculi.

Mi fa pena che tu possa sentirti meno “diverso” nei confronti di quell’eteronormatività che ti ha chiamato “frocio”, “pederasta” e “invertito” fino a ieri, semplicemente trovando altri diversi con i quali comportarti nello stesso modo.

E, per finire, per quanto la cosa possa essere di interesse del lettore (ma visto che te lo chiedevi), il sangue, in certe zone, mi circola regolarmente.

 

La battuta “ne avete di finocchi in casa” è di Totò, nel film “Sua eccellenza si fermò a mangiare”. Non mi ricordo il film, e quindi non posso scrivere, adesso, in che contesto viene detta, ma è stata presa come cliché per ricordare quell’umorismo pecoreccio e offensivo che veniva fatto nel cinema italiano nei confronti di gay e lesbiche. Recentemente, è stato fatto un documentario con lo stesso nome che analizza il fenomeno. Non si pensi, però, che fosse un fenomeno limitato ad una certa area culturale: nella trasmissione “di sinistra” e “cult” per eccellenza degli anni ‘90, Stefano Masciarelli metteva in scena la macchietta di “Pazzarella”, esperto di calcio decisamente effeminato, e innamorato di Rizzitelli.

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