Essere “maschi non praticanti”
Se pensiamo a qualcuno che parla di asessualità in prima persona, raccontando la propria esperienza, dal punto di vista mediatico o dal punto di vista dell’attivismo, in Italia, è molto probabile che ci si trovi di fronte ad una persona socializzata come donna. O meglio, è piuttosto improbabile che la persona a parlare sia un uomo cisgender.
La quantità di uomini cis è sempre stata più bassa all’interno della comunità asessuale negli ultimi 15 anni, ma è stato a partire dal 2020 che si è vista una “scomparsa” del “maschio” dalla comunità. E, quando “appaiono”, di solito hanno un’età decisamente più avanzata, rispetto alle altre identità che si affacciano al mondo dei gruppi, dei collettivi, delle associazioni e degli eventi di area asessuale. Perché?
Lo scorso autunno abbiamo cominciato a fare delle “chiacchierate”, coinvolgendo più uomini cisgender che si riconoscono nello “spettro” a raccontare la propria esperienza, cercando di capire quali siano gli ostacoli che impediscono a un giovane asessuale di potere esprimere la propria identità. Volendo dare un titolo alle nostre chiacchierate e al progetto che ne è derivato, potremmo usare “maschi non praticanti”, che è un’espressione in cui si sono ritrovate le persone che si sono raccontate negli incontri online che abbiamo fatto. Leggendo quanto segue capirete perché.
Il problema di un’etichetta che “pesa”
Molti uomini ace eteroromantici non vogliono una etichetta ingombrante perché spesso si trovano già a loro agio nella eteronormatività e fanno cosi coming-out tardi.
Se ciò presenta dei lati positivi in un mondo eteronormato, per altri versi rende difficile sentirsi queer e trovare una casa nell’associazionismo LGBT, o capire le tematiche femministe. Nonostante ciò il femminismo deve essere una occasione di liberazione anche per gli uomini cis.
Spesso gli uomini cis asessuali sono vicini all’eteronormatività, quindi i gruppi queer vengono visti come un qualcosa che sporca quell’esperienza. Le testimonianze raccolte rivelano rapporti non sempre idilliaci con l’attivismo queer, anche se varia da realtà a realtà.
Questo è un duplice problema, perché rende difficile per una persona cis maschile accettare e soprattutto dichiarare la propria identità a un mondo che non la percepisce come queer, e di converso può fare avvicinare delle persone sole e prive di riferimenti ad ambienti violentementi antifemministi.
Paradossalmente infatti il non riconoscersi nei modelli maschili standard, se non compreso con i giusti strumenti, può generare sentimenti di rancore proprio verso l’universo queer e il mondo femminile. Individui considerati come etero dal mondo LGBT, e lontani dalle tematiche del movimento, che al contempo vivono un dissidio con i modelli allonormativi ed eteronormativi, in assenza di adeguata preparazione potrebbero vivere una forte crisi di identità con esiti anche violenti.
Amici o “solo amici” con una donna?
Un problema comune alla maggior parte dei partecipanti è quello relativo all’amicizia tra uomo e donna, vero taboo nella società contemporanea, e oggetto di pregiudizi. Essere amici con le donne è sempre stato visto per molti come “di meno” oppure come un qualcosa di provvisorio che un giorno si sarebbe evoluto in una relazione “standard” come per esempio un matrimonio.
In questo si vede l’influsso sul sentire comune della cosiddetta scala mobile relazionale; non sono solo le persone aro e ace a pagarne le conseguenze, ma per loro è particolarmente pesante perché equivale alla cancellazione dei loro sentimenti e delle loro modalità relazionali. Alcuni raccontano di relazioni difficili in cui non si era capiti per il proprio orientamento e si sentiva la continua pressione sulla propria sessualità.
Si nota tuttavia che ci sono molte persone aspec in relazioni poliamorose perché capiscono di più quello che c’è dietro, ovvero la cura nelle relazioni e non il possesso, e non finire per forza in una relazione di tipo sessuale o romantico. Negli ultimi anni l’amicizia tra uomo e donna è progressivamente meno stigmatizzata, e molte persone più giovani segnalano comunque come gradualmente si stia cominciando a cambiare lo sguardo sulle relazioni e che ci si senta meno in dovere di mostrare di “non stare a sprecare tempo” (cit.) se non si ha una relazione di tipo sessuale. Internet ha aiutato molto in questo senso.
Considerare le relazioni consensuali come tutte valide è il primo passo per liberare le persone ace, e in generale chi non risulta a suo agio negli schemi relazionali dominanti, a liberarsi dalle aspettative della società.
Educazione sessuale: dov’è l’asessualità?
Le persone che hanno partecipato al progetto raccontano come la scuola abbia rappresentato spesso un momento di alienazione, perché i modelli veicolati tanto dall’insegnamento quanto dall’esterno sono inequivocabilmente etero e allo. Nell’interazione quotidiana con i coetanei le aspettative comportamentali sono alte, e alcuni hanno raccontato esperienze di emarginazione o di costruzione di una identità “pubblica” parallela per non essere isolati.
La più totale assenza di discussione in classe sui temi dell’educazione sessuale e affettiva, e l’adozione acritica del modello che vede come unica realizzazione per l’individuo la coppia etero e la famiglia, insieme alla logica binaria amicizia/amore nelle relazioni con il genere femminile, rendono difficile per i giovani asessuali l’accettazione della propria identità.
Ci si sente sbagliati perché non si sente una sola voce amica. È come se esistesse un obbligo di performatività sessuale, vera o percepita, che va raccontata. Ci si sente a disagio e si pensa di deludere le donne, e di essere considerati “meno maschi” per questo. Tale sentimento di insufficienza e di colpa, nei confronti tanto delle donne quanto degli altri uomini, secondo alcune testimonianze tende ad affievolirsi dopo il coming out.
Emerge la necessità di una educazione alla differenza e al rispetto della persona nelle sue molteplici caratteristiche, anche nella sfera sessuale. Il fatto che questa educazione sia in gran parte delegata al porno, che è una fiction di argomento sessuale che viene erroneamente percepita come realtà, crea ulteriori problemi.
A ciò si aggiunge l’alienazione dovuta alle modalità di fruizione della pornografia, in solitudine e tramite internet, che priva il giovane della dimensione del confronto, dello scherzo, che le generazioni precedenti abituate alle visioni collettive dei vhs conoscevano.
La frustrazione dovuta al non riconoscimento della propria identità negli altri, e un approccio alla sessualità fondato unicamente sulla fruizione di performance pornografiche, possono provocare un’errata percezione della realtà e il disagio del dover adattare il proprio comportamento a quello altrui, con il rischio di farsi e fare violenza. Ë necessario parlare con i ragazzi in difficoltà, ace e non, per decostruire, insieme al mito dell’uomo che non deve chiedere mai, quello del bravo ragazzo. Sono stereotipi complementari e ugualmente pericolosi.
Il “dovere” di essere “maschio”
Essere ace sul lavoro provoca spesso una emarginazione simile a quella che nasce a scuola. Alcune persone raccontano lo stigma nell’ambiente di lavoro, l’imbarazzo di fronte alle battute, e riferiscono che la competizione e il periodo “testosteronico” in cui ci si sente rivali per loro non c’è mai stato. Una delle persone interpellate racconta: “Lavoravo in cantiere, però non esprimevo giudizi sulle tipe e correggevo i miei colleghi sul commentare le donne e mi veniva detto di fare più sesso”.
Sembra quasi che essere uomo sia sinonimo di essere un cacciatore di rapporti sessuali, o quantomeno di presentarsi come tale. Ma queste non sono norme di genere nocive solo per gli uomini.
Ancora oggi è opinione comune che gli uomini abbiano naturalmente più desiderio sessuale rispetto alle donne, e questa opinione comune pesa tantissimo nei contesti lavorativi, in cui il solo fatto di essere uomini fa nascere delle aspettative comportamentali a cui è difficile scappare.
La stessa logica per cui esistono lavori “da uomini” e “da donne” dà vita a una serie di preconcetti che portano all’emarginazione di soggettività queer, anche quelle meno “visibili”, come uomini trans e persone non binarie, uomini bisessuali, e naturalmente uomini asessuali, che sono percepiti come una sorta di controsenso vivente.
L’ipersessualizzazione maschile crea disagio in molte delle persone che hanno partecipato al progetto, e alcuni di loro hanno dichiarato di essersi sentiti accolti in ambienti religiosi, non per vocazione ma per sfuggire al paradigma maschile dominante.
Conoscere il proprio orientamento, sapere che esiste l’asessualità e che è perfettamente normale, può aiutare a decostruire gli schemi imposti dalla società e non sentirsi fuori luogo.
Emerge chiaramente il problema della sessualizzazione come fondamento delle relazioni sociali. Soprattutto nell’età che va dall’adolescenza alla prima maturità, è difficile per un uomo fare coming out.
I motivi sono culturali, e su questi si deve lavorare, perché è proprio nell’età della formazione che si prendono delle scelte decisive per il futuro, e la comprensione e l’accettazione di se stessi è fondamentale. La maggior parte dei partecipanti al progetto ha fatto coming out tardi, alcuni dopo essersi costruiti una vita per rispettare le apparenze.
Ma i nodi vengono al pettine, e l’associazionismo e l’attivismo asessuali, anche se non hanno ancora grossi numeri e presenza sul territorio, devono fornire agli uomini ace giovani i mezzi per conoscersi e accettarsi. Decisivo, come detto sopra, anche il ruolo della scuola. Il problema dell’assenza di educazione sessuale e affettiva non riguarda solo le persone ace, ma per esse assume una rilevanza particolare perché la scuola e il confronto con i coetanei possono amplificare il senso di solitudine e di diversità, persino in compagnia di coetanei queer ma allosessuali.
È compito del movimento asessuale, e in particolare di persone asessuali uomini, di ascoltare anche questo mondo e togliere dalle grinfie della narrativa incel e MRA persone che in realtà per il fatto di essere asessuali sono queer e potrebbero dare e ricevere molto dalla comunità.