Affinità e divergenze tra gli unicorni glitterati e me, nell’approssimarsi della Ace Week
Tra circa una settimana sarà la Ace Week, e io, quest’anno, non so proprio cosa scrivere per l’evento. Potrei riciclare il solito post che riciclo dal 2020, ma credo che potrebbe sembrare ripetitivo.
Non so cosa scrivere soprattutto perché non ne ho voglia, e non è che non ne abbia voglia perché sono pigro da fare schifo, è che sono profondamente demotivato dal farlo.
Volevo chiamare il pezzo “quando è moda, è moda”, ma poi ho sognato Giorgio Gaber che mi chiamava, mi chiedeva se il titolo lo avessi scritto io, e il tempo di dire “Giorgio, che onor…” che il suo fedele stormo di mucche volanti mi avrebbe punito per avere abusato per la milionesima volta di quella frase.
Però ci stava bene, perché ci sono fasi nelle quali davvero le “facce giuste” diventano “da rotocalco e da ente del turismo”.
Per esempio, in questi giorni terribili, con la violenza in Medio Oriente su tutti i giornali, mi deprimono le pagine di chi fa attivismo Lgbtqia+, piene di Palestine Libere e di Sionisti Boia (meno presente la versione opposta dei Palestinesi assassini e dell’Israele che resiste, quella è più appannaggio di chi si dice liberale scambiando Andrea Porro per John Stuart Mill). La pagina di una ragazza, che chiameremo con il solito nome di farfallina97, corrispettivo digitale della casalinga di Voghera, ha un post dove in 1080 per 1080 pixel aveva risolto il problema del Medio Oriente.
Pensare che sono non so neanche quanti millenni che quell’area di mondo è quanto meno incasinata. Ma lei, e tanti come lei, lo avevano risolto con un post su una piattaforma social gestita da una multinazionale. Il tutto, senza neanche sentirsi ridicoli.
E non parlo di persone che si divertono a fare un balletto su TikTok (alla fine, è un modo di passare il tempo). Parlo di persone che hanno la pretesa di dire la loro opinione su fatti importantissimi.
Io del Medio Oriente, non ci capisco un cazzo. Come di tante altre cose, aggiungeranno i nostri giovani lettori (stronzi). Del resto anche farfallina97 e compari vari hanno scarsa competenza sulla questione palestinese, con poche eccezioni, di solito gente che si occupa della materia da anni e che spesso lo fa anche di mestiere.
E che sia la Palestina, gli studenti, il mondo lgbtqia+, il clima, qualche show su Netflix, i maiali uccisi in un santuario, la sanità pubblica o i diritti delle donne, sembra che ci sia una gran voglia di voler prendere una parte e sostenerla in modo completamente acritico. E non perché quella cosa ci stia particolarmente a cuore, ma perché ci serve per trovare dei simili e far parte di un “gruppo”.
Non è molto diverso dall’utilizzo di un vestito o di un altro, o dal seguire in modo messianico qualche celebrità, o influencer che dir si voglia. Una sorta di moda.
Aspetta: era questo “quando è moda, è moda”? Ho citato quella frase per anni senza averla capita? Stavolta mi sogno Gaber in persona, che mi offende. Poi, le mucche.
“Moda” non era perché tutti erano diventati “ribelli” in un colpo, ma perché il tutto era stato banalizzato in un comportamento senza una reale ragione?
L’appartenenza ridotta ad un gadget? L’attivismo ridotto a chi fa il gadget migliore? Lo slogan migliore? Una sorta di Carosello, con il messaggio politico messo alla fine, sempre se c’è?
Ma se l’appartenenza è ridotta ad un gadget, ad un logo o ad uno slogan, allora bisogna gridarlo più forte possibile, bisogna obbedire in modo ortodosso, perché oltre al simbolo non c’è niente. Io sono convinto che se, all’interno dei collettivi di sinistra, si votasse a scrutinio segreto se le proprie simpatie sono per quei giovani che stavano facendo un rave, o dei fanatici religiosi che gli hanno sparato addosso, il 100% delle preferenze andrebbero al rave.
Stessa cosa se la vedi da destra. Odiano il regime iraniano, amano gli Usa. Ma veramente, in segreto, sarebbero così contrari a vivere in un paese dove le donne hanno più o meno il diritto di un animale domestico (e intendo l’Iran)? E, sempre a destra, se chiedi ai militanti più giovani cosa ne pensino delle persone Lgbtqia+, pensano la stessa cosa, ormai, dei loro corrispettivi di altre parti politiche.
Non mi piacciono le “masse”, le grandi manifestazioni, gli slogan da urlare in coro. Non mi è mai piaciuto il “noi” che si usa nelle associazioni. Non mi piacciono i discorsi urlati dal palco, gente sempre incazzata, che poi, se vai a vedere come vive, ha molte poche ragioni per urlare così tanto, di solito.
Carrodibuoi ha avuto nel suo piccolo, dalla fondazione, una regola: chi è iscritto può intervenire, firmare post, pezzi eccetera, ma lo deve fare a nome proprio. In un gruppo di lavoro che non è mai stato più grande di una decina di persone, è improbabile che non ci siano due persone che la pensino, su un singolo argomento, in modo opposto. Altrimenti la cosa è molto preoccupante. Quindi, ognuno dica la sua a titolo personale. Con i dovuti limiti su omofobia, sessismo eccetera. E con le dovute differenze tra una testa pensante e l’altra.
Per il pride del 2000 a Roma, la gente balzava sulla sedia quando vedeva quei “personaggi”, fino a un minuto prima tenuti nascosti sotto ai tappeti, che si prendevano il centro di Roma, per giunta (scandalo) durante un Giubileo.
Gli ultimi pride mi hanno dato l’idea di una rievocazione storica, di quelle pallose che si fanno nei paesi per acchiappare un po’ di turisti. Mancano solo le ballerine vestiti con gli abiti tradizionali che portano un orcio sul capo, il benzinaio vestito in abiti cinquecenteschi e il tizio che fa i panini con le salamelle bestemmiando Cristo anche durante le processioni, perché dice che così le salamelle vengano più buone.
L’effetto che fa è ormai lo stesso, anche se, in questo siamo originali, viene declinato in modo variegato: abbiamo la versione milanese modello Festivalbar, arcobaleni e consigli per gli acquisti, il tutto comodamente attraversabile, mentre dall’altra parte possiamo ammirare la versione “dura, pura e incazzata” delle collettive frocie bolognesi al grido di “guarda mamma come sono ribelle oggi”.
Forse, è l’ora di smettere di intervenire, e ricominciare a formarsi, come abbiamo fatto per anni, senza guardarsi troppo allo specchio, senza volere dare una soluzione su tutto l’esistente. Capire che chi fa attivismo nel mondo Lgbtqia+ ha già tanto lavoro da fare prima di poter dire la sua sul Medio Oriente.
Bisogna rimettersi a cercare informazione, produrre informazione e a studiare.
Il problema è che sono pigro da fare schifo.