Perché i Pride sono anche per le persone Ace.

Dall’Australia, il racconto di attivistɜ Ace che organizzano e partecipano ai Pride.

Un recente articolo del Guardian dà voce a esponenti della comunità asessuale australiana, con un approccio interessante e diverso dal solito.

Non si parla infatti solo di cosa l’asessualità sia, ma si racconta anche del rapporto delle persone ace con la più vasta comunità queer e con l’organizzazione dei Pride. Rapporto a volte non semplice, ma che sta migliorando.

Michael Egan, attivista di Melbourne, parla del suo percorso di scoperta di sé, dell’importanza di avere capito la sua identità, di potersi definire asessuale, demisessuale e di conoscersi ogni giorno di più.

“Per me, essere in grado di è più importante dell’obbligo di”, dice di sé.

Altre persone, come Elyse McKenzie, raccontano di non avere avuto problemi ad accettarsi come asessuali, ma che le pressioni della società, che pare costruita sull’imperativo della coppia come prosecuzione logica e necessaria dell’individuo, possono portare a una crisi. “Non ho mai provato alcuna attrazione romantica o sessuale verso nessuno e dentro di me non ho problemi con questo”, racconta, “Ma man mano che invecchi, le persone si mettono in coppia e costruiscono una vita insieme. Così va la società […] Anche la cultura pop e i media che consumiamo, non sono solo sessualizzati, ma costruiti attorno al romanticismo di coppia. È difficile ed è estenuante sopportarlo. C’è molta paura e ansia che deriva dal non essere nella norma. E quando le cose vanno male, chi è la persona su cui ti appoggi?”

Ed è qui che entra in gioco l’attivismo. Elyse negli ultimi sei anni ha organizzato il carro asessuale per la sfilata del Mardi Gras a Sidney, collaborando con il resto della comunità queer. All’inizio non era per niente facile (“Il primo anno c’era chi ha urlato ‘lɜ asessuali non si divertono’, il che è stato particolarmente offensivo perché mi diverto molto. Altre persone si sono chieste che ci facessimo lì. Semplicemente non ci capiscono”.), ma anno dopo anno l’accettazione, e la consapevolezza di far parte della stessa grande famiglia aumentano.

E se è vero che può essere difficile per le altre identità che danno vita al Pride capire le persone asessuali, è vero in alcuni casi anche l’opposto, cioè un disagio da parte delle persone asessuali di fronte all’ipersessualizzazione che a volte è presente nelle modalità di comunicazione dei Pride. Sarah Fletcher, di Sidney, dice: “Finalmente ho capito la mia sessualità, ma il Pride non sembrava una celebrazione di ciò che provo. Tuttɜ indossano pochissimo o sono nudɜ, tuttɜ si baciano o si abbracciano. E queste sono cose che non ci piace fare”. Ma queste difficoltà e incomprensioni vanno superate con buona volontà reciproca, perché le lotte funzionano quando vengono fatte insieme.

Cyan Donatti è una persona non binaria e asessuale, e come sessuologə aiuta lɜ  giovani a esplorare la propria identità. “Ciò significa affrontare le idee sbagliate secondo cui c’è qualcosa di biologicamente sbagliato in loro, che sono troppo schizzinosɜ  o che semplicemente non sono interessatɜ  a connettersi con un’altra persona, il che invalida le forti amicizie o le relazioni platoniche nelle loro vite”.

Un altro malinteso, racconta sempre Cyan, è che – risparmiatɜ  dalle prove e dalle tribolazioni della lussuria e del crepacuore – lɜ  ace hanno vita più facile o semplicemente più tempo. Non è assolutamente vero che abbiano più tempo, o che stiano meglio, anzi, l’ambiente invalidante in cui vivono è un fattore di stress, e molto tempo va impiegato a capirsi, conoscersi e farsi rispettare.

Aiuterebbe molto, e finalmente si sta cominciando a vedere negli spazi queer, l’aggiunta della A all’acronimo LGBTQI. E’ la prima cosa che una persona asessuale si aspetta di vedere per sentirsi inclusa, e sarebbe il caso che la comunità lo capisse.

Perché quindi organizzare e partecipare ai Pride? Secondo Elyse, la visibilità che dà un Pride, e il fatto di avere delle alleanze, è molto utile, affinché “la prossima generazione di persone non debba affrontare le domande che abbiamo dovuto affrontare noi”.

“Se non gridiamo” conclude Michael, “le persone cresceranno pensando di essere incomplete, e non è vero. Invece devono pensare: ‘ci sono persone là fuori come me, e va bene non essere attrattɜ sessualmente da altre persone’”.

Il messaggio che viene dalla comunità australiana è che: “Tuttɜ  vogliamo essere amatɜ , differiamo solo su come vogliamo avvicinarci o sperimentarlo. Ed è giusto che sia così. Fa parte della continua diversità della sessualità umana ed è bene parlarne”.

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