Ho saputo solo adesso che sono asessuale da sempre

L’asessualità, ci spiegano i media, è una “reazione” della Generazione Z, quella composta dalle persone nate dopo il 1997, ad una non meglio identificata ipersessualizzazione della nostra società. 

Anche la narrativa punta molto sulla “fluidità” dellɜ più giovani, e ci ricorda di come la consapevolezza del proprio orientamento sessuale avvenga fin dall’adolescenza.

È vero, ma è sempre stato così? Ed è stato così per tuttɜ?

Cosa succede quando, per mille ragioni, l’informazione dell’esistenza del proprio orientamento arriva più tardi? 

Cosa succede quando, per anni, si provano determinati sentimenti, ma nessuno ha pensato di informarci dell’esistenza del nostro orientamento sessuale? 

Come sarebbe stato per un uomo sentirsi attratto da altri uomini per tutta la vita, ma solo a 40 anni scoprire che esiste una cosa chiamata “gay”?

Abbiamo chiesto ad alcunɜ amicɜ come sia avvenuto il proprio coming out in un’età più avanzata rispetto a quello che si ritiene “la norma”.

F. , torinese di 46 anni, ad esempio, attraverso il coming out del figlio che si è dichiarato omosessuale ha avuto il primo contatto diretto con il mondo Lgbtqia+.

“Informandomi per lui, ho capito che ero qualcos’altro rispetto all’eterosessuale che avevo sempre dato per scontato di essere, Grazie ad alcuni account di attivistɜ su Instagram, mi sono riconosciuta in quello che sono. Ho scoperto che ci sono diversi tipi di attrazione e ho capito che non ho mai avuto attrazione neanche per mio marito. Avendo sempre visto che i rapporti funzionavano in questo modo, ho dato per scontato che per amare una persona bisognasse farci sesso”.

G. , pur venendo da un trascorso “friendly”, avendo partecipato a vari pride, fino a 42 anni non aveva mai sentito nominare l’asessualità: “per me è stato un processo un po’ lungo. Ero convinta di avere qualcosa che non funzionasse dal punto di vista fisico e mentale. Poi ho capito che le esperienze degli altri erano come le mie, che non avevo bisogno di un sessuologo, e che era normale non provare alcuna attrazione”.

“Ho passato una vita a cercare di infilarmi due scarpe che non mi andavano, perché vedevo tutti gli altri che portavano le scarpe”.

Per S. questa “scoperta” è avvenuta un po’ prima, a 39 anni: “pensavo che tutte le ragazze vivessero la questione esattamente come me, ovvero: i ragazzi vogliono farlo sempre, le ragazze non vogliono mai, ma dopo lunghe insistenze, le ragazze si concedono”. Ma poi,  parlando con le amiche ha capito che il loro interesse per il sesso andava oltre questo schema. “Ho iniziato a pensare seriamente di avere un problema. Per anni mi sono definita un giocattolo rotto. Più volte mi è stato chiesto se per caso, mi piacessero le ragazze”.

Per T., 50enne veneta, la scoperta è avvenuta prima, “credo fosse il 2007, ma non ne sono sicura, a me e al mio compagno di allora non interessava molto l’attività sessuale, perciò ho fatto una ricerca online e ho trovato il forum di AVEN. Da quel momento ho semplicemente dato un nome a qualcosa che per me era la normalità”.

Non sempre poi la scoperta del termine “asessuale” corrisponde al riconoscersi nell’orientamento, possono essere due momenti diversi, perché spesso le definizioni che si leggono sono poco corrette e non si adattano ai vissuti individuali. “Nel 2007”, racconta V. , 41enne siciliano, “mi capitò di leggere un articolo sulla versione cartacea di un quotidiano nazionale, che parlava di una “nuova comunità” di persone che non cercavano il sesso. Un po’ mi interessava, ma non pensavo parlasse di me. In quel periodo pensavo di essere semplicemente un eterosessuale sfortunato, o un omosessuale represso. Non stavo molto bene, e quell’articolo non mi aiutò”. Solo anni dopo e dopo un avvicinamento graduale alle tematiche queer, è scattata la consapevolezza.

In un mondo che proprio non si rassegna al fatto che esistano persone perfettamente sane che non provino attrazione sessuale (o meglio, il solito cliché di ciò che si intende per attrazione sessuale) alla presa d’atto del proprio orientamento la persona ace può avere reazioni diverse. Se oggi internet dà una mano e fa sentire meno solɜ non è stato sempre così. “Avrei voluto saperlo da ragazzina, invece di sentirmi inadeguata”, dice G. ., mentre S. insiste sull’importanza di trovare una comunità: “E’ stato come avere un’epifania. Ho iniziato a cercare informazioni ovunque, avevo bisogno di capire. Ho sentito un grande sollievo. C’erano altre persone come me, persone che avevano smesso di sentirsi dei giocattoli rotti”.

Un ruolo importante gioca anche la rappresentazione dell’asessualità nei prodotti culturali, e spesso la gioca in negativo, anche se cominciano a esserci casi molto positivi, soprattutto grazie ad autorɜ ace. “Ho cercato di informarmi sulla cosa e ho guardato Heartstopper (serie tratta dai lavori di Alice Oseman), e ha dato una sensazione positiva per mio figlio e anche per me, perché i protagonisti non pensano al sesso come prima cosa”, ricorda F. .

Prendendo consapevolezza del proprio orientamento, nella vita cambia qualcosa.     Consapevolezza può coincidere con un impegno nell’attivismo ace, come nel caso di M. 32, anni, dalla Lombardia: “La mia vita è cambiata in positivo: ora partecipo attivamente all’associazionismo LGBTQIA+ e ho finalmente trovato un gruppo di persone a cui mi sento affine. Per anni mi sono sentita fuori posto, ora ho trovato il mio posto”. O essere vista come una cosa del tutto normale, come racconta T. : “La vita è cambiata perché è così che funziona la vita: cambia”. O altrɜ, come S. danno rilievo all’aspetto comunitario e alla fine della solitudine: “Sto cercando di vivere il tutto con consapevolezza e di fare un percorso per accettarmi così come sono. Sono in contatto con altre persone asessuali e trovo preziosissima la presenza di una comunità (…) Ora so che non accetterò mai più di fare sesso se non mi va di farlo. Non devo sesso a nessuno. Non mi manca nulla. Non sono un giocattolo rotto. La mia vita è cambiata, eccome”. 

Un momento delicato nella vita delle persone ace può essere il coming out, o comunque la comunicazione con il proprio entourage. E’ difficile per qualunque orientamento diverso dall’eterosessualità, ma nel caso dell’asessualità si aggiunge la scarsa conoscenza dell’orientamento. In un mondo in cui ancora si confonde asessuale e asessuato, o si consiglia alle persone ace di andare dal sessuologo per “sbloccarsi”, spesso si preferisce non esporsi, o farlo solo con persone di fiducia. Per chi, come le persone intervistate, prende consapevolezza di questo aspetto di sé “tardi”, quando è già inseritəi n una serie di relazioni sociali e familiari (per esempio coppia, o figlɜ) il momento in cui ci si dichiara ace può avere un significato molto particolare. “Con i figli”, racconta G. , “ero in difficoltà. Come faccio a spiegarlo senza spiegare l’attrazione fisica? Ho preso i miei tempi e adesso lo sanno tranquillamente

Io e il mio partner siamo poly, mi ha fatto qualche domanda, sembrava preoccupato che non mi piacesse stare con lui, ma non è vero, ma non mi piacciono altre cose né con lui né con chiunque”. C’è anche il diritto di non dirlo, come fa notare T. : ”Lo sanno mia madre, i miei amici, le mie colleghe strette di lavoro. Alcuni hanno compreso e approfondito l’argomento, ad altri non importava, in fin dei conti perchè dovrebbe interessare?”

“Ho capito che non tuttɜ sono prontɜ a vedere una persona cara fare coming out”, considera realisticamente S. , e V.  racconta come i genitori “si sono preoccupati o non hanno ben capito”. In questi casi è necessaria pazienza e comprensione reciproca.

“Molte persone hanno solo detto che “sì, ci sta””, conclude M. “Alcune hanno solo fatto fatica a capire cosa fosse davvero l’asessualità e come si ponesse all’interno dello spettro di esperienze queer”.

Queste esperienze mostrano come il definirsi asessuali non sia per niente una “moda” o una stranezza riservata a giovani, influenzabili da internet e dai social network.

Le storie che abbiamo riportato mostrano percorsi lunghi, spesso complicati, pieni di dubbi e di insicurezze. Non possono essere ridotte ad una “nuova tendenza” (che sarebbe comunque “nuova” da più di un decennio), ma meriterebbero rispetto, senza ridurre tutto ad un “cliché” giovanile, quasi adolescenziale.

Un altro punto riguarda i discorsi sulle “etichette”, talvolta disprezzate per snobismo, ma che cambiano quando la tanto vituperata “etichetta” arriva a coronamento di un percorso, e conferma il fatto che si tratta sempre di un “punto di arrivo” qualsiasi sia l’età di chi la raggiunge. Dietro una parola, c’è una vita.

Per la settimana della consapevolezza ace abbiamo voluto dare voce a una parte della comunità che ha pieno diritto di cittadinanza, al di fuori dei luoghi comuni che descrivono l’asessualità come “l’ultima diavoleria delɜ  giovani”.

No, si parla di vite umane, e di percorsi di consapevolezza e liberazione. Che non hanno età. 

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