L’attivismo non è un pranzo di gala

“La rivoluzione non è un pranzo di gala”, diceva anni fa un signore che ci avrebbe sicuramente fattɜ fucilare*, o quantomeno messɜ a spalare letame in una fattoria di rieducazione in quanto “decadenti e borghesi”, ma che in questa intuizione tutti i torti non aveva. Certo, il suo modello di rivoluzione passava per la canna del fucile, e i risultati si sono visti, ma se invece di rivoluzione mettiamo “attivismo”, ripensare a questa vecchia massima aiuta a rompere il fuorviante idillio del servire una causa come pacifico hobby, fatto in pieno relax, senza problemi, che aiuta a crescere e che risolve anche i problemi personali. E no, non è esattamente così.

Un altro signore**, stavolta senza milioni di morti sulla coscienza, diversi anni dopo ebbe a dire che la politica è “sangue e merda”. Anche stavolta, mettendoci “attivismo” la frase continua ad avere molto senso.

Questo vale per l’attivismo in generale, che è nobile nelle idee, specie se parte dalla difesa di diritti calpestati dal potere e dalla società, ma che deve confrontarsi con un quotidiano molto prosaico, fatto di rinunce, di compromessi, di incomprensioni con il mondo e con altre persone attiviste.

E vale anche per il nostro attivismo Ace, di un movimento di cui ancora si contesta il diritto all’esistenza, e che da alcunɜ è ritenuto perfino abusivo all’interno della comunità queer. Impiegare tempo in questa causa, cercare di portare avanti un discorso comune fra le varie anime del giovane movimento asessuale italiano, investire lavoro (gratuito) ed emozioni, non può che logorare. E di fronte all’ennesima delusione, alla centesima derisione pubblica da parte di un “esperto” in tv o su internet, al centesimo attacco da parte di pezzi della nostra stessa comunità o al cinquecentesimo dissidio interno su come fare attivismo, condito da sanguinolente accuse, ci si chiede perché si continui a prendersi queste sberle senza gettare la spugna.

Perché l’attivista ha una sua vita, spesso fatta di rogne come quella di chiunque o quasi, e la storia che occuparsi di una causa aiuti a risolvere i propri problemi è una gigantesca illusione: i problemi semmai si sommano, in un atroce miscuglio di pubblico e privato.

Sapete perché nonostante tutto, e pur contemplando dei periodi più o meno lunghi di pausa o di riflusso, giusto per curare un po’ la salute fisica e mentale o la situazione economica, si continua a prendere sberle e a tuffarsi nel sangue e in quell’altra cosa? Fondamentalmente per due motivi.

Il primo è che non ci possiamo permettere di lasciare la presa. Il poco che abbiamo ottenuto, lo abbiamo ottenuto a pugni e morsi, e le persone Ace e Aro giovani si meritano un mondo migliore di quello che abbiamo conosciuto noi. Non si devono fare illusioni, ma bisogna che capiscano che lottare è possibile. Non sarà sempre bello, ma sarà sempre giusto.

Il secondo è che si creano, nell’attivismo, delle reti di relazioni di cura reciproca, alcune illusorie che finiscono a pezzi in seguito a delusioni, altre durature e resistenti agli scossoni, che rendono quasi sopportabili le sconfitte e più belle le piccole vittorie, e fanno capire, forse, che la vita può valere la pena di essere vissuta.

* Mao Tse Tung, presidente del partito comunista cinese dal 1943 al 1976.

** Rino Formica. Politico italiano, fu più volte ministro negli anni ’80.

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