Perché l’uso egualitario dell’asterisco è una scelta sovversiva
Per molto tempo ho meditato di scrivere un articolo riguardo a linguaggio inclusivo e neutro. È un tema che mi tocca molto da vicino e sul quale sento fin troppo spesso dibattiti insensati portati avanti con poca onestà intellettuale e a colpi di benaltrismo.
Prendo come spunto di discussione un articolo scritto di recente, ma ormai ho perso il conto dei dibattiti avuti a riguardo in cui le stesse argomentazioni si riproponevano eternamente uguali.
A volte ho l’impressione che l’accanimento contro l’uso di un linguaggio neutro o talvolta declinato al femminile nasconda la difesa di un privilegio che si sente minacciato. Possibile che la propria comodità nell’esprimersi e nello scrivere venga prima del rispetto e del riconoscimento dell’identità altrui? Questo è senz’altro possibile se chi si esprime è, come l’autore stesso dichiara, una persona non invisibilizzata dalla nostra lingua.
L’articolo esordisce affermando come le parole siano importanti e come cambiare la lingua significhi modificare gli schemi di pensiero. Non potrei essere più d’accordo: le parole che usiamo hanno un impatto più profondo di quanto si potrebbe pensare.
L’autore ammette poi di trovare l’uso dell’asterisco altamente disturbante. Cosa c’è di così disturbante?
Una delle obiezioni più classiche contro l’asterisco è la sua non pronunciabilità: ci costringe ad interromperci, a stazionare con lo sguardo su una parola non trovando un suono da pronunciare per terminarla. L’asterisco ci mette davanti al binarismo che permea la nostra lingua oltre al nostro modo di pensare, all’assenza di un mezzo per esprimere qualcosa che non sia maschile o femminile che rispecchia perfettamente la negazione e invisibilizzazione a livello sociale di tutto ciò che non è binario. E no, il maschile neutro non ottiene lo stesso effetto, lo dimostrano più che bene le reazioni avverse e isteriche che solo l’asterisco (o un qualsiasi suo impronunciabile sostituto) riesce a provocare.
Non poteva mancare l’accusa di perbenismo e di politically correctness, non capendo che non è di una correttezza formale che si tratta, ma della ricerca di un linguaggio che esprima ed accompagni un cambiamento sostanziale. Ovviamente l’asterisco non è che un mezzo, forse provvisorio e senza dubbio perfettibile, per arrivare a questo scopo. Del resto esistono molte varianti più o meno esplicite per esprimersi in modo neutro in italiano, di cui l’asterisco è forse soltanto la più visibile (e quella che più fa arrabbiare). Alcune di esse sono anche perfettamente pronunciabili e quindi adatte al parlato, come per esempio l’uso della u o dello schwa come vocale finale.
L’articolo parla poi di una lingua artificiale, imposta dall’alto e non frutto di una “trasformazione dal basso” del modo di parlare.
Le persone queer, femministe, trans e in generale chi si occupa di attivismo e di parità di linguaggio sarebbero quindi in alto (tanto in altro a volte da risultare invisibili). In alto rispetto a chi non ci è dato sapere.
Inoltre è interessante notare che la genesi della lingua italiana è passata anche attraverso opere letterarie, scritte da autori che proprio in basso non erano.
L’accusa di artificiosità (meglio nota come accusa di non naturalità) è un’argomentazione talmente abusata da non meritare quasi di essere analizzata qui. MI limito a dire che non mai ben chiaro in questi contesti cosa si intenda con ‘artificiale’ e perché questo abbia una valenza negativa.
Ulteriore obiezione è il fatto che, secondo l’autore, cercare forme di espressione più paritarie presuppone l’idea che la lingua italiana sia stata programmaticamente creata in modo da essere maschilista e che culture in cui è possibile comunicare con lingue storicamente più neutre (per esempio l’inglese o il cinese) non siano ugualmente sessiste.
È chiaro che il sessismo è un fenomeno pervasivo che non si limita soltanto a come vengono declinati sostantivi e aggettivi in una determinata lingua. Molti linguaggi riescono ad essere sessisti in modi diversi, e il sessismo in ogni caso permea il contesto culturale a prescindere dalla lingua parlata. Cambiare il modo di esprimersi è un accorgimento che va di pari passo con cambiamenti sociali di altro tipo, pensare (o fingere di pensare) che chi punta a cambiare il linguaggio perda di vista il vero problema è piuttosto benaltrista oltre che non supportato dai fatti.
Infine un ulteriore attacco all’asterisco, più originale e meno inflazionato, è motivato dal fatto che si tratti di un simbolo spesso usato per censurare parole considerate volgari o tabù culturali di altro tipo e che questo getti sul tentativo di usare un linguaggio neutro ed egualitario una sorta di luce sinistra. Mi rifaccio a quanto ho scritto poco sopra: uno dei potenziali pregi dell’asterisco (a seconda della della lettura che se ne da) è proprio l’essere scomodo, mettere a disagio, far percepire una mancanza e un non detto, la promessa/minaccia di portare via un privilegio molto più profondo e sostanziale della sola visibilità a livello linguistico.