Dopo il “no”, si chiama stupro. E non è una “esigenza” per nessuno.

Il termine stupro o la frase violenza sessuale, fanno pensare a malintenzionati incontrati in un vicolo buio, gruppi di persone, spesso, per molti, stranieri che assaltano una donna.

La violenza sessuale, in realtà, è tutto ciò che viene fatto con la forza, dopo il “no” alla richiesta di certe pratiche, come riporta la testimonianza di Sherronda J. Brown sul blog Wear Your Voice.

La maggior parte degli stupri, infatti, avviene all’interno delle relazioni.

Le perone che si identificano come asessuali sono particolarmente adatte ad essere vittime di questo tipo di cultura dello stupro.

Una delle cosiddette microaggressioni che dobbiamo subire, è una sorta di sottovalutazione del nostro essere asessuali, incontrando continuamente potenziali partner che si ritengono in possesso di genitali in qualche modo, magici, e che una persona asessuale possa gradire in modo particolare solo quelli, dato che ha detto che non vuole gli altri. E, “con un po’ di forza -possono pensare- vedrai che lo capisce che fare sesso in questo modo è bello”.

Mentre, oggi, sarebbe impensabile pensare di voler convertire una persona omosessuale, anche se si parla di modi di pensare duri, ahimè a morire, questo lo si può fare tranquillamente con una persona asex, che viene vista quasi come un capriccio, una stranezza della quale si può fare tranquillamente a meno.

Soprattutto chi vive le cosiddette relazioni miste, quelle nelle quali uno dei due membri non è asessuale, che, per ragioni statistiche, sono la maggioranza, deve lottare contro una montagna di tradizioni e di pregiudizi che sono lontani dall’essere soltanto scalfiti.

La maggior parte dei “maschi” eterosessuali, vedono, infatti, ancora come un diritto, quello di avere rapporti sessuali con la propria partner nella misura che richiede, spalleggiato anche da una sottocultura che vuole che l’uomo abbia le sue esigenze, alle quali la donna deve sottostare. La pena per la donna che non volesse accontentare i bisogni del “proprio uomo”, è il tradimento, giustificato dalla sottocultura di cui sopra.

Dall’altra parte, la “femmina” eterosessuale vive il rifiuto del compagno quasi come un affronto, un’offesa personale, dalla quale questa si difende indicando il “proprio” maschio come “impotente” o accusandolo di essere omosessuale.

Come fa notare Brown, il no dell’altra persona non è un incoraggiamento ad andare avanti, e la vita sessuale di coppia non è il set di un film porno del quale si possono riprodurre tutte le dinamiche.

Tutto ciò che viene dopo il “no”, è stupro.

E la violenza verso gli altri non deve essere giustificata come “esigenza” da parte di nessuno, soprattutto, come accade talvolta, da parte della vittima in nome di un malinteso “amore”.

Chi ti ama, capisce la parola “no”.

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