Come ho trascorso il Toscana Pride 2025 senza litigare con nessunə
TW: considerazioni e resoconto semiseri sul Toscana Pride 2025. Alcune cose potrebbero essere inventate. Giusto per iniziare a non prendersi sul serio, che è sempre utile in questi tempi di merda…
Dunque: come raccontare il mio Toscana Pride 2025?
Partiamo dall’inizio: la mattina del 21 giugno io non avevo voglia di andare al pride. Considerando che ho fatto parte per gli ultimi otto anni del comitato organizzatore (c’ero anche quando non ci fu il pride, causa covid: protagonismo puro) non posso semplicemente dire “non ci vado”. ho anche tutto il materiale io quindi ho bisogno di una ragione alta e nobile.
Dopo il terzo tentativo andato a vuoto di litigare con Federica (che era già a Prato per via della logistica) mi sono rassegnato a prendere parte alla “colorata manifestazione” con la gioia di chi si sta recando ad una riunione di condominio, e per giunta, una riunione di condominio dove gli altri sono splendidi e con i glitter ovunque, e tu sei quello vestito di grigio, con l’aria triste. Forse non ho reso l’idea, ma non ne avevo veramente voglia.
Già che la cosa non era iniziata proprio benissimo: il giorno prima o due giorni prima, un gruppo di persone sedicenti LGBTQIA+ e sedicenti ebree hanno chiesto di partecipare alla parata con la bandiera con la stella di Davide. Avevano fatto la stessa richiesta anche lo scorso anno, e anche lo scorso anno rimbalzarono, ma con l’invito ad iniziare un percorso politico. Nessuno li ha sentiti. E dopo un anno si presentano “fateci sfilare o diciamo che siete antisemiti”. Ciao e riparliamone a ottobre, se ci tenete.
Non ci tenevano, perché mezz’ora dopo, i giornali online già avevano la notizia: “ebrei cacciati dal Toscana Pride”. E la cosa ha preso uno spazio incredibile per il peso della notizia: si tratta di tre rincoglioniti appoggiati da una parte di ciò che rimane del glorioso partito Radicale di Pannella. E ci provano in tutti i pride: li fai sfilare, cercano l’aggressione dai collettivi, e il pride è antisemita e filo Hamas. Li rifiuti: il pride è antisemita e filo Hamas. Potrebbero dire subito che il pride è antisemita e filo Hamas senza rompere troppo i coglioni, come fanno su Libero, il Giornale, la Verità, e il resto della robaccia di destra.
Poi c’erano stati anche un po’ di scazzi tra alcuni gruppi, con annunci melodrammatici di uscita dal comitato (il momento giusto, no?) per ragioni ancora da comunicare e forse neanche esistenti. i partecipanti ai comitati, chiunque essi siano, condividono una particolarità: hanno deliri di onnipotenza che sono difficilmente raggiungibili da altri bipedi, megalomanie quasi pari a un Matteo Renzi nella sua fase di Sindaco.
Per cui mentre smoccoli per evitare che in associazione ti diano i soliti pacchi e ti ritrovi a portare la roba da solo, leggi sui social “il comitato Confini Plurali di Pontedera ha deciso, dopo un’attenta analisi di lasciare il comitato pride”.
Il messaggio si perde tra il video di una tizia che parla della propria ovulazione e uno che vuole venderti tappeti, ma nella mente del portavoce, Tiziano Piroli, 48 anni, impiegato alla Asl di Santa Croce, il Corriere sta già titolando a tutta pagina “mondo in ansia: Confini Plurali lascia il comitato pride”. Sottotitolo “che tanto il pride è antisemita e filo Hamas”.
Non male il nome “confini plurali” per un’associazione, vero? Quanto sarebbe paraculo da 1 a 10?
Quindi, ormai rassegnato, capisco che mi tocca questa grossa assemblea di condominio. Ultima speranza: il meteo. Magari piove, viene un tornado, il Bisenzio straripa di nuovo e con tutti i danni che può fare, non fa svolgere il pride e io dormo tranquillo. Ma, come diceva il grande Freak Antoni, Dio c’è (ma ci odia). E quindi mi tocca anche quest’anno. Che palle.
All’inizio di ogni manifestazione che Cristo metta in terra, esiste un rituale: l’ordine di parata e/o i metodi per mettersi davanti ad altre associazioni. Per questo, il posizionamento dello striscione è sacro. Possono rapire tua mamma, ma tu non devi spostare lo striscione di un millimetro. Purtroppo, fin dai tempi in cui facevo le manifestazioni durante la scuola superiore (nel mio caso, “al posto” della scuola superiore), lo striscione va sempre in mano alle persone meno adatte che ci siano nel mio gruppo. E ci fottono il posto.
Finiamo così davanti al trenino delle Famiglie Arcobaleno. Progetto assolutamente nobile. Il problema è che quel trenino di merda aveva una specie di clacson con frequenza e volume che poteva anche disturbare. In modo molto educato, considerando anche il fatto che, come Moretti, avevo bisogno di litigare (e nessuno nei paraggi che girava una pubblicità), ho fatto notare che quella specie di clacson, dava fastidio.
E sono ben lieto che i miei suggerimenti, sempre di buon gusto, sui vari usi alternativi che il tipo avrebbe potuto sperimentare con quella trombetta, siano stati ascoltati da tutti quei bambini cresciuti magari in ambienti radical chic e atei, e che per la prima volta hanno sentito nominare figure come Dio, la Madonna (di Lourdes, Medjugorje e Fatima), il Cristo, nelle sue forme, e alcuni santi, talvolta anche all’interno della medesima bestemmia che ho tirato in modo quasi ininterrotto.
Un saluto allə amicə delle Famiglie Arcobaleno. Siamo con loro nella lotta, ma levateci quella specie di clacson. Ve lo faccio ingoiare, che tanto devo litigare prima o poi. Ed ho perso di vista Federica. Occhio.
Un’altra cosa che odio dei pride è la musica. In particolare, odio la musica che viene sparata mezz’ora prima della partenza quando i gruppi si stanno organizzando e tu devi girare attorno ad un cinquantenne molesto, già ubriaco, che balla e devi urlare a un metro.
Non ha senso la musica prima della partenza. Ma soprattutto odio la musica dei pride, perché la musica dei pride è sempre la stessa (sei canzoni in totale) ed è musica di merda. E oltre che di merda, è anche fuori contesto. Non puoi contare sette a sette i peli del culo di qualsiasi partecipante per controllare che abbia le scarpe più o meno di una qualche multinazionale, occhio che gli avocado non siano israeliani, e poi spari Madonna, Lady Gaga e Britney Spears dai carri delle associazioni che ci tengono a precisare che “questo è un momento politico.
Quando poi si arriva al panorama italiano, la musica diventa deprimente: Raffaella Carrà che ho visto passare dai giochini coglioni per casalinghe alle barricate per i diritti (da morta), i Ricchi e Poveri (cazzo), e manca Albanoromina Totokutunjoitaljanovero, e siamo in Polonia nel 1992.
Momento politico antagonista un bel paio di palle: porta artisti indipendenti e di area invece di Lady Gaga.
Sono a metà corteo, e mi domando come non abbia ancora ucciso nessunə.
Problema: devo andare in bagno. In due affrontiamo piazza del Duomo durante il passaggio della parata alla ricerca di un bagno che non abbia una coda chilometrica. Finalmente incontriamo un kebabbaro che, vedendo da che parata veniamo, ci accoglie con uno sguardo tra il disgusto e il minaccioso. Lui ha più voglia di litigare di me.
“Il bagno?” “Quella porta” ci dice con aria schifata, ma in realtà è l’unica porta, l’unico altro locale oltre al suo negozio di somministrazione che ha degli standard di igiene un po’ discutibili. Con mia sorpresa, il bagno era il posto più pulito del negozio. Avrei potuto tranquillamente pisciare dietro al bancone e si sarebbe notato meno la differenza. Forse lo fa anche il tipo e questo spiega il bagno pulito. E il resto.
Sono vegano, e purtroppo devo rinunciare ad assaggiare un po’ di quel succulento misto di ruggine, blatte, plutonio, muffa, carne bovina che il nostro amico espone con un certo orgoglio.
I collettivi, pardon: le collettive, sono una presenza costante ai pride. In realtà sono una presenza costante a qualsiasi manifestazione. La modalità è semplice: si prende la posta e si moltiplica per due. Manifestazione sindacale? Loro sono con gli operai in lotta, ma contro la trattativa con il capitale. Manifestazione ecologista? Non vanno eliminate gradualmente le auto a benzina. Vanno distrutte al momento. Pride? “Serve un pride autocostruito dal basso in modo orizzontale, senza interferenze politico capitaliste”, dice Guido Concetti Garolfi, noto come Guidiug, futuro regista cinematografico, attivista di un centro sociale, figlio di Corrado Concetti Garolfi, noto industriale della zona che ha appena patteggiato una condanna per una banale truffa da pochi milioni.
La tematica palestinese d’ordinanza viene invece portata avanti da Gin*X, al secolo Giovanna Ginevra Emilia Tozzi Frantapari, anarchica femminista, erede, ma del ramo cadetto, dei conti Frantapari, storicamente interessati alla soluzione dei problemi mediorientali già dalla metà del XII secolo.
Chiude il gruppo Lucia Biagiotti, addetta alla piegatura bandiere e portatrice d’acqua, una carriera politica stroncata dal fatto di avere un cognome solo e troppo plebeo.
Il resto del collettivo segue “orizzontalmente” a debita distanza e risponde ai cori come concordato. Pochi discorsi: siamo in guerra.
Chiedo scusa allə amicə delle collettive, che, scherzi a parte conosco molto poco e dellə quali, soprattutto, non conosco certamente il reddito, il mestiere e neanche il nome o la discendenza nobiliare. Si scherza: quest’anno hanno fatto un gran lavoro, hanno fatto un ottimo discorso, mostrando di stare “sul territorio”, ma quando vedo gruppi a caso creare problemi che non esistono e discuterci delle ore, penso che, in qualche modo, e non per forza economico, possano permetterselo.
Una caratteristica dei pride è il mutevole comportamento dei partecipanti, dato dalla distanza percorsa. Mi spiego: dato che i pride si svolgono, solitamente, in un pomeriggio di giugno, dove le temperature sono abbastanza alte e le persone sono solitamente in mezzo di strada, alla partenza, personaggi anche non più giovanissimi, come abbiamo visto, ballano sulle note delle sei canzoni sei di cui sopra, scatenandosi dietro ai carri colorati. Già in vista della metà del percorso si avvertono i primi segni di cedimento fisico. Il corteo lascia nei bar ai quali passa vicino una quantità di dispersi paragonabili a quelli della ritirata dell’Armir.
Gli ultimi, ormai ridotti ad automi, contano la distanza all’arrivo del corteo, con la vista annebbiata ed in preda alle allucinazioni. I più deboli che osano sfidare gli ultimi 300 metri di parata possono anche avere visioni mistiche ed incontrare vecchi parenti morti da decenni che, vestiti anni ‘80 li guardano e dicono “ai miei tempi era diverso, questa è solo ostentazione”. I più coraggiosi, raggiungono il traguardo alla spicciolata, sapendo che la medaglia, in questi casi, è sopravvivere.
Chi riesce ad arrivare all’arrivo, anche con mezzi di fortuna, vede finalmente la Terra Promessa dopo tanto peregrinare. Sono sudato come un porco, sono senza voce perché ho bestemmiato tutto il tempo e mi sa che questa, un giorno, lontano, la pagherò, non ho litigato con nessuno, neanche col kebabbaro perché ci tengo a vivere e non voglio finire servito nei panini insieme alle blatte (sono vegano).
Non è la fine della tortura, oggi: mancano i discorsi dal palco, l’ultimo dei quali viene ascoltato da circa 100 persone, delle quali 20 in preda a sostanze strane, 20 in pieno shock post traumatico ed altre 20 che ascoltano attente, ma che sono creazioni di fantasia. Fanno parte delle allucinazioni che portano chi organizza a sparare delle cifre un po’ altine sulla partecipazione. Ed ora ho capito perché la questura vede sempre gente in meno: non contano gli amici immaginari dei partecipanti.
E anche questo pride, “ce lo siamo levato dalle palle”.