12 Settembre 2025
Articoli AsessualiSenza categoria

Focus, scoprire e capire… noi

Nel 2005, il concetto di asessualità come orientamento sessuale era quasi completamente assente nel dibattito pubblico e sui media tradizionali in Italia. I primi passi verso la visibilità avvenivano in piccole comunità online internazionali; ma, per la maggior parte delle persone, il termine non esisteva. Ovviamente, di asessuali, ce n’erano eccome. Tuttavia, il silenzio mediatico rendeva difficile dare un nome a ciò che si provava e i sentimenti di isolamento e di sentirsi “sbagliati” erano comuni.

In quel contesto, che oggi sembra preistorico, un articolo della rivista Focus sull’asessualità non fu un semplice momento di informazione, ma un autentico punto di svolta per molti, che oggi si chiamano Millennial. Tanti di noi, che abbiamo ricordato e (non senza difficoltà) ripescato quell’articolo, abbiamo condiviso una convinzione: esso fu un faro. Perché diede la prova che quanto provava ciascuno, nel silenzio della sua individualità, non solo era “normale”, ma aveva un nome ed era pure comune a tante persone. Quel pezzo ebbe un impatto non solo cognitivo, ma profondamente emotivo: validò un’identità e offrì un primo, fondamentale senso di appartenenza.

L’articolo, curato da Paolo Pontoniere, fu pubblicato sul numero 147 di Focus del Gennaio 2005. Il titolo: «Quelli che… “il sesso non ci interessa”». Constava, per la maggior parte, di un’intervista a David Jay, fondatore dell’AVEN, Asexual Visibility and Education Network.

Anzitutto, ciò che più colpì fu che Jay smontava quanto fino ad allora era sembrato un assioma: c’erano persone, che non provavano attrazione sessuale; non perché bloccate emotivamente o incapaci di praticare il sesso, ma perché trovavano “aliena tutta la dimensione sesso”. Potevano sentirsi attratte da altre persone, anche provando amore e infatuazione, ma senza passare per un’attrazione sessuale. Potevano provare altri tipi di attrazione, piacere mentale e fisico, ma anche non sentire la necessità di avere un rapporto sessuale.

Anche oggi, molti lettori asessuali possono riconoscere come propria l’esperienza personale di Jay: «Quando si è accorto di essere asessuale? Molto presto, nella fase prepuberale, quando notavo che i dettagli fisici delle ragazze che facevano impazzire i miei amici a me non dicevano niente. Però c’è voluto un po’ di tempo prima che cominciassi a concepirmi come un asessuale. All’inizio pensavo di avere problemi, non riuscivo a capire perché proprio non mi eccitassero i seni o il sedere delle mie compagne di scuola. A poco a poco ho cominciato ad accettare quello che ero».

Ovviamente, anche quell’articolo mostra adesso i segni del tempo. Alcune etichette, come omo-asessuali e etero-asessuali, semplicemente non sono usate. E superata è anche la definizione degli asessuali, come «persone che non hanno alcun interesse per il sesso». E, per fortuna, sono in via di estinzione i sessuologi (come quello intervistato in poche righe), che definivano l’asessualità una “cialtroneria”, inesistente per la scienza. Nel complesso, però, quel pezzo fu un disvelamento per una generazione di asessuali alla ricerca di risposte; un primo contributo alla creazione di movimenti, comunità e di una vera e propria consapevolezza.

Alcuni di noi, alla domanda “Quando hai capito di essere asessuale?”, individuano proprio in quella pubblicazione il giro di boa. Come B., che ha preferito restare anonimo, ma che ha gentilmente concesso questa intervista.

Sei…
Sono B., ho 41 anni e sono demisessuale etero-romantico.

Prima di acquisire la consapevolezza di essere asessuale, come vivevi il tuo orientamento?
Da adolescente, sentivo di non provare attrazione sessuale, di non avere spinte verso la sessualità. Sentivo dentro qualcosa, ma non un’energia che mi spronasse verso il sesso. Ero meno preso dal sesso rispetto ai miei coetanei. In maniera istintiva, cercavo di più la relazione emotiva.

Ti sentivi capito da chi avevi intorno?
Il contesto in cui vivevo non aiutava, anzi. Forse, fuori dalla mia realtà provinciale, c’era più apertura. Chissà. Ma io vivevo in un tessuto sociale giudicante e omologante. Non si poteva essere diversi dall’essere eterosessuale. E questo era sostenuto anche da persone, che si dicevano progressiste, vivevano una sessualità intensa, libera, occasionale, ma poi tenevano comportamenti, discorsi omofobi e sessisti. Ne avevo la nausea. Ci stavo male. Si formavano gruppi, che erano un po’ come branchi; ma, all’interno, imperava il menefreghismo e non c’era cura dell’altro. Tutti credevano che fosse imperativo fare sesso: o facevi sesso o eri uno sfigato. Negli anni ’90/inizio anni 2000, se eri un ragazzo, non aveva quasi senso uscire con una ragazza, se non per quell’obiettivo. Anche solo uscire per parlare e basta, in quegli anni, era ritenuto strano. I miei amici oggi quarantenni non hanno mai forse avuto una vera amicizia femminile. Addirittura, a me, che invece ho sempre avuto e cercato amicizie femminili, gli altri chiedevano perché mai mi facessi amiche le ragazze. Oggi, sembra impensabile, perché si è più aperti. Ma, allora, era così.

Come ti faceva sentire tutto ciò?
Le pressioni mi condizionavano. Perché, se l’unico modo di rapportarsi alle ragazze era la sessualità, io le sentivo come irraggiungibili. Quindi, o mi forzavo o mi sentivo uno sfigato. Ero indotto a crederlo. Avrei fatto mille altre cose oltre al sesso e, invece, ci si aspettava di dovere fare solo quello. Il risultato era che, quando dovevo fare sesso, mi prendeva una paura, un’ansia che mi angosciava e scappavo. Avevo la sensazione di essere rotto. Mi sentivo sbagliato. Temevo che non avrei potuto avere una vita. Da adolescente, pesa non vivere la sessualità come si sente. Uno, che credevo un amico, per insultarmi, mi disse che, sotto il profilo sessuale, ero come un’ameba.

Mi hai detto che l’articolo di Focus fu importante per te. Quanti anni avevi e cosa ti fece provare quella lettura?
Avevo 21 anni. Studiavo Storia all’Università. Ero stato abbonato a Focus da ragazzino, ma nel 2005 no. Comperai per caso quel numero e lessi l’articolo. Hai presente la serendipity? [“Ritrovamento o scoperta fortuita di qualcosa di buono o utile, senza aver compiuto alcuno sforzo per cercarlo.” – ndr]. Provai comprensione e liberazione. Mi parve uno svelamento. Era scritto male e ok. Ma mi fece pensare che quello che provavo andava bene. Quell’articolo mi diede la consapevolezza.

E dopo, cosa accadde?
All’epoca, era difficile riconoscersi come asessuale. Dentro di me, avevo metabolizzato la mia asessualità. Sapevo che era concreta, ma per lo più la tenevo dentro di me, perché non sapevo spiegarla. Dopo la lettura dell’articolo, decisi di andare da uno psicologo. Tuttavia, qualche professionista mi disse che avevo un orientamento chiaramente eterosessuale. Qualcuno mi disse perfino che l’asessualità non esisteva. Alcuni amici e parenti mi capirono e appoggiarono. Altri, invece, furono tossici. Mi sentii dire le solite frasi: “Devi guarire”, “Guarirai”, “È una fase; ti passerà”, “Devi incontrare la persona giusta”. Ci fu addirittura chi tentò di “correggermi”, proponendomi di avere rapporti con una prostituta, per “sbloccarmi”. Capii che dovevo e potevo aiutarmi da solo.

Ci sei riuscito? Ti senti in pace con te stesso?
In parte, mi ci sento. Un tempo, ero convinto che non potevo essere come volevo. In questo, l’articolo di Focus mi fece sentire liberato. Pian piano, mi sono ricongiunto con quella parte di me stesso, che credevo essere un errore. Ci è voluto tempo. Ci sono arrivato dopo un lavoro su me stesso. Togliermi dalla testa l’idea che ciò che senti è sbagliato. Di certo, ora, mi sento più libero con me stesso. E poi, ho re-imparato anche come vivere le relazioni. Le ultime che ho avuto, le ho vissute con gioia. Mi sono sentito capito e accettato sotto il punto di vista del mio orientamento. Anche il sesso, lo abbiamo fatto coi nostri tempi, dopo che abbiamo instaurato un legame di affetto, complicità. Certo, ho un approccio diverso dalla “norma”. Sento ancora un po’ di paura. Ma so di poter vivere alla mia maniera. Ti aiuta molto essere capito da chi ti vuole bene. Quando ero adolescente, il rapporto colla vita era caotico. Oggi, forse, mi è rimasta un po’ di follia, anche di insoddisfazione. Ma va bene così. Lo spazio con me stesso, lo vivo come mi pare.

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi